La riflessione sull’automazione è necessaria. Il lavoro del futuro, la gestione delle organizzazioni, il governo della società in pace e in guerra, sono sempre più chiaramente destinati a confrontarsi con la versione contemporanea dell’automazione, resa possibile dalla scienza e dalla tecnologia digitale. Automatico è “ciò che si muove da sé”, dal greco, ma anche “ciò che pensa da sé”, dal sanscrito, spiega il filosofo Carlo Sini (“L’uomo, la macchina, l’automa, Bollati Boringhieri 2009). E il secondo aspetto è particolarmente importante nell’epoca che rilancia l’intelligenza artificiale. La fascinazione per questa tecnologia, e il timore che incute, derivano forse più dalla metafora che dalla realtà. Le stupefacenti e comunque limitate capacità cognitive dei computer, per ora, li rendono capaci di gestire grandi volumi di dati portando a termine precise serie di istruzioni, cioè algoritmi, classificabili in quattro categorie: creazione di elenchi, raggruppamento per classi, scoperta di relazioni, filtro di informazioni importanti, nota Hannah Fry (“Hello world”, Bollati Boringhieri 2018). I computer svolgono questi compiti in base a due modalità operative: algoritmi basati su regole conosciute e algoritmi di machine learning. Le conseguenze di queste tecnologie non vanno esagerate, ma neppure sottovalutate. L’evoluzione dell’umanità sta probabilmente nella sua continua capacità di generare mutazioni creative per superare le nicchie eco-culturali che lei stessa ha prodotto con la sua tecnologia, come notava Telmo Pievani insieme a chi scrive, in “Come saremo” (Codice 2016). E Massimo Chiriatti aiuta a leggere con spirito critico le dinamiche evolutive della progettualità tecnica nel suo recentissimo “#Humanless” (Hoepli 2019).
Cosimo Accoto, filosofo, affiliato al Mit, è convinto che l’umanità possa dotarsi di una capacità interpretativa adatta alla sfida cognitiva posta dall’innovazione tecnologica contemporanea e propone di sviluppare una vera e propria attività di ricerca chiamata “philtech”. Ha avviato il suo percorso di ricerca riflettendo sulla “programmazione” della gestione delle informazioni e pubblicando “Il mondo dato” (Egea 2017). E ora esce con una riflessione sull”automazione” pubblicando “Il mondo ex machina” (Egea 2019). Per Accoto non basta pensare l’automazione cognitiva nei suoi limiti attuali ma è necessario riflettere anche sulle sue prospettive. E da questo punto di vista le ramificazioni dell’analisi diventano immediatamente molto complesse. Ma un’idea è chiara, per Accoto: «Il futuro sarà automatico o non sarà». La spinta radicale che Accoto esercita sulle convenzionali, per quanto temporanee, certezze che ci si costruiscono intorno agli sviluppi dell’intelligenza artificiale è importantissima. Non basta contestare l’impressione che se queste macchine “pensano da sé” possano uscire dal controllo degli umani sulla base dell’osservazione secondo la quale le tecnologie sono comunque frutto della progettualità umana. Perché – come del resto altre tecnologie – i progetti umani si possono rivelare capaci di generare effetti indesiderati. Soprattutto se non sono consapevoli fino in fondo. La società ha bisogno di queste riflessioni non solo per conoscere le macchine che imparano, ma anche per imparare a conoscere sé stessa.
Articolo pubblicato su Nòva il 28 luglio 2019