La Cyberspace Administration of China (CAC) comunica che dal primo gennaio 2020 è vietato pubblicare e distribuire false notizie online create con sistemi di intelligenza artificiale. In ogni caso, ogni contenuto che sia prodotto con sistemi a base di intelligenza artificiale dovrà essere presentato in modo da informarne chiaramente il pubblico. Ogni disobbedienza sarà considerata un crimine, riporta la Reuters. Nel mirino sono soprattutto le notizie realizzate in modalità “deep fake”: si tratta per esempio di video nei quali si vede una persona dire cose che non ha detto ma elaborate in maniera tanto realistica da far credere che invece le abbia dette davvero. «Queste tecnologie» dice la CAC «sono un pericolo per la sicurezza nazionale, causano la distruzione della stabilità sociale, mettono in discussione l’ordine pubblico e violare i diritti delle altre persone». Indubbiamente, il controllo sociale capillare che la Cina opera nei confronti dei suoi cittadini sarebbe messo in difficoltà dalla diffusione di immagini di persone delle quali non si conosce o è confusa la reale identità.
La questione politica dell’intelligenza artificiale non cessa di provocare attenzioni e controversie. In effetti, a quanto pare, il presidente russo Vladimir Putin ha affermato che «chi svilupperà la migliore intelligenza artificiale diventerà il padrone del mondo». Lo ricorda Stefano Da Empoli nel suo libro “Intelligenza artificiale: ultima chiamata. Il sistema Italia alla prova del futuro” (Bocconi Editore 2019) che sottolinea come oltre all’arretratezza europea nell’intelligenza artificiale ci siano straordinarie opportunità per un’economia come quella italiana il cui sistema imprenditoriale si è sempre manifestato molto più resiliente, flessibile, tecnologicamente avanzato di quanto non ci si aspetti, anche perché è orientato alla logica delle filiere produttive che provocano una diffusione di innovazioni in contesti non troppo evidenti ai consumatori, ma ben presenti nelle relazioni tra sistemi di imprese. Ma anche questa fiducia nelle doti di fondo del sistema industriale italiano ha bisogno, dice Da Empoli, di un sostegno nel discorso pubblico.
Alcuni osservatori si preoccupano del fatto che la regolamentazione europea sia troppo pesante per consentire un libero sviluppo dell’intelligenza artificiale. Ma in realtà, la decisione cinese dà ragione al prudente approccio europeo. Come del resto, l’adozione delle norme sulla privacy in California è chiaramente ispirata al GDPR europeo. E non si può neppure immaginare che proprio la California voglia dotarsi di regole sfavorevoli all’innovazione. In realtà, le regole, in certi casi, sono proprio quello che serve all’innovazione, quando servono a impedire l’insorgere di gravi problemi sociali e a guidare verso l’adozione delle nuove tecnologie in modo armonico con la qualità della convivenza civile.
L’approccio basato sulla creazione di spazi deregolamentati per gli innovatori per favorirne la crescita anche a danno dell’esistente che impone di intervenire successivamente per aggiustare quanto la distruzione creativa ha messo in difficoltà è una sorta di “dumping” utilizzato dai sistemi orientati a una dominanza globale contro i sistemi concentrati sui diritti umani e la qualità delle relazioni sociali. L’approccio europeo può ispirare un’innovazione dotata di un senso. Ma occorre che gli europei portino il loro approccio fino in fondo. Cogliendo le opportunità che offre.
Articolo pubblicato su Nòva il 5 gennaio 2020