I dati raccolti dall’Ocse nel corso dell’indagine PISA non servono solo a valutare i risultati educativi ottenuti da ragazze e ragazzi quindicenni in una quarantina di paesi del mondo. In quell’occasione gli statistici dell’Ocse fanno anche altre domande. In questi giorni è uscito un nuovo rapporto che dà conto delle risposte dei quindicenni quando sono intervistati intorno al lavoro che si aspettano di svolgere all’età di 30 anni. Questa rilevazione è stata fatta fin dall’inizio del nuovo millennio. E il confronto è sorprendente. Perché nonostante tutti i cambiamenti che stanno attraversando il mondo del lavoro, i quindicenni tendono a immaginare di essere destinati a una decina di professioni, con una concentrazione crescente delle aspettative. Il 47% dei ragazzi e il 53% delle ragazze concentrano le loro aspettative su dieci professioni: medico, manager, veterinario, insegnante, avvocato, poliziotto, ingegnere e così via. In alcuni paesi, la concentrazione nelle aspettative occupazionali in queste professioni tradizionali è maggiore, in altri inferiore, ma in generale cresce. In alcuni paesi dove i ragazzi fanno più training sul lavoro anche durante gli studi, la concentrazione è inferiore, come in Germania e Svizzera. In altri paesi, meno avanzati da questo punto di vista la concentrazione è maggiore: in Indonesia, per esempio, quasi la metà si concentra sulle tre professioni: nel management, nell’insegnamento e, per le ragazze, in medicina, mentre per i ragazzi, nelle forze armate. Se i giovani sono più bravi a scuola tendono a immaginare una varietà di occupazioni maggiore, quelli che ottengono risultati inferiori tendono ad aspettarsi destini professionali più stereotipati e, soprattutto, non hanno chiara percezione del tipo di impegno educativo che devono affrontare per raggiungere le posizioni lavorative che si aspettano. E l’evoluzione è ancora più lenta dal punto di vista del genere. Più di metà delle ragazze pensano che lavoreranno – nell’ordine – come dottore, insegnante, manager, avvocato, infermiera, psicologa, designer, veterinaria, poliziotta, architetta; quasi metà dei ragazzi pensano che lavoreranno – nell’ordine – come ingegnere, manager, dottore, informatico, sportivo, insegnante, poliziotto, meccanico di automobili, avvocato, architetto.
Andreas Schleicher, che all’Ocse dirige il dipartimento che si occupa dell’educazione, ha commentato a Davos questi risultati con forte preoccupazione. Ha osservato che i giovani sembrano ignorare i fenomeni trasformativi che la digitalizzazione sta generando nel mondo del lavoro.
Certo, immaginare il lavoro del futuro è difficile anche per le persone attrezzate dall’esperienza. E dunque lo è a maggior ragione per i giovani che non hanno visto come le cose sono cambiate negli ultimi due decenni. Ma alcune informazioni sono ormai chiare. Se le ragazze pensano più dei ragazzi di fare l’infermiera o la veterinaria e i ragazzi più delle ragazze di fare l’ingegnere o lo sportivo, evidentemente le informazioni aggiornate pesano nelle scelte meno delle tradizioni e dei modelli sociali di riferimento. L’ipertrofia dell’informazione sui social alla quale le persone dedicano ore di tempo ogni giorno non sembra spingere a guardare i fatti in prospettiva, ma anzi sostiene una condizione di concentrazione sul presente che non aiuta a studiare attentamente i fatti in funzione delle loro conseguenze di lungo termine. E indubbiamente tutto questo è un problema del sistema educativo che non si risolve senza un piano ambizioso.
Articolo pubblicato su Nòva il 26 gennaio 2020