Si tratta di un raro caso di scoperta retroattiva. Si è scoperto che si poteva fare. Da decenni erano disponibili le tecnologie per fare riunioni online. La clausura ha dimostrato che si potevano usare massicciamente, sostituendo viaggi, risparmiando costi e risolvendo rigidità organizzative. Un corollario è che si poteva anche evitare di andare in ufficio, per molte attività lavorative. Una serie di preconcetti sono pronti a saltare. E non c’è solo Twitter ad aver deciso che i dipendenti potranno andare o non andare in ufficio a loro piacimento, anche dopo la fine dell’epidemia. I casi di questo tipo si stanno moltiplicando, a partire dalle grandi società di consulenza. Un fatto è certo: l’assunzione che, finita la crisi, tutto tornerà come prima non ha fondamento per le attività che non richiedono speciali infrastrutture tecnologiche, ma semplicemente computer connessi o telefoni.
Gli effetti collaterali di questo genere di cambiamento sono complessi. Minori emissioni di CO2 e più tempo per attività culturali o sociali. Ma anche meno domanda per servizi di ristorazione, ospitalità, viaggio. Più ecommerce e elearning. Meno condivisione di auto e bici, forse meno mezzi pubblici. Ridefinizione dei parametri di valore degli immobili e aumento della diversità di servizi nelle zone abitative. Attività routinarie svolte online o automatizzate. Uffici che restano essenzialmente luoghi per le attività creative, per gli incontri tra persone che si devono conoscere, per l’inserimento di nuovi assunti in azienda, per costruire valori comuni. Oppure per azionare macchine specializzate e costose, per operare in laboratorio, per utilizzare infrastrutture particolari. Spazi di lavoro che dunque diventano luoghi di ritrovo e stimolo creativo, centri per l’educazione, aree di progettazione a geometria variabile e occupazione temporanea, luoghi nei quali si trovano infrastrutture per la conoscenza rare e non replicabili a casa. In queste riflessioni, gli sviluppatori di grandi grattacieli per mega aziende potrebbero imparare qualcosa dai creatori di spazi per l’aggregazione e la collaborazione di tanti professionisti e imprese di ogni dimensione, benché anch’essi si adattino, come dimostrano le riflessioni che si fanno a Talent Garden oppure a OpenZone Zambon.
Tutto questo, ovviamente, è teoria. Che può diventare pratica solo che c’è una modernizzazione nel management delle risorse umane, nel design dei format per le riunioni e le attività creative, online e offline, nell’equilibrio tra gerarchia e gioco di squadra, tra divisioni e reti. Uno studio di McKinsey, basato sulla crisi del 2008 e le sue conseguenze, mostra che le aziende che colgono prima delle altre i cambiamenti strutturali e adeguano coerentemente la loro organizzazione hanno performance superiori ai loro pari in modo sempre più accentuato: il 20% delle aziende che avevano una performance superiore alle altre erano in vantaggio di 20 punti percentuali nel 2008: otto anni dopo erano in vantaggio di 150 punti percentuali. «Chi si muove prima, più velocemente e con decisione, va molto meglio degli altri». Ma come devono valutare le scelte da operare? McKinsey non ha dubbi: devono scegliere per il lungo termine, non per il breve.
Vincono le aziende che guardano oltre la crisi e immaginano il loro compito in un’ottica strutturale indipendentemente dalle crisi congiunturali. L’innovazione senza direzione genera meno valore dell’innovazione orientata al lungo termine.
Articolo pubblicato su Nòva 24 maggio 2020
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