Parte Immuni: si sperimenta più il sistema sanitario che l'applicazione

Dopo la peggiore recessione degli ultimi decenni, arriverà la ripresa più complessa di sempre: le aziende e le persone dovranno riprendere le attività economiche ma nel quadro limitante delle misure di contenimento dell’epidemia di Covid-19. L’applicazione Immuni dovrebbe servire a facilitare il compito. Se funzionerà.
Per un’applicazione che statisticamente ha importanza se è usata da almeno il 60% dei cittadini, peraltro, la prima giornata di disponibilità dell’applicazione, per i telefoni con sistema operativo Google Android o Apple iOs aggiornato, non è stata segnata da una forte comunicazione da parte del governo. Anche perché la partenza effettiva, prevista per il 3 giugno, è stata riservata in via sperimentale a quattro regioni: Puglia, Abruzzo, Marche, Liguria. La soluzione è più complessa organizzativamente che tecnologicamente: Immuni, sulla base del bluetooth, registra gli incontri ravvicinati tra gli utenti, sicché quando un cittadino è trovato positivo, il sistema avverte tutti coloro che potrebbero essere stati contagiati nei giorni precedenti, li informa di stare in casa e suggerisce di chiedere l’intervento del medico. Nel corso della sperimentazione, i sistemi sanitari delle prime quattro regioni dovranno rispondere alle richieste di attenzione da parte dei cittadini che dovessero ricevere messaggi di allerta: la loro esperienza aiuterà a predisporre le procedure per tutte le regioni. Dopo la sperimentazione anche i telefoni che si trovano in altre regioni potranno inviare i loro dati al server centrale.
Prima di ufficializzare l’uscita di Immuni, il governo ha atteso il parere del Garante per la protezione dei dati personali. Il Garante ha approvato l’applicazione con molte precisazioni, soprattutto indicando misure necessarie perché gli utenti siano informati dell’algoritmo che gestisce la valutazione del rischio, sappiano che ci possono essere falsi allarmi, possano disattivare l’applicazione facilmente. Ha inoltre precisato che i dati raccolti non possono essere usati per finalità diverse da quelle per le quali sono stati raccolti. E che deve essere facile accendere e spegnere l’applicazione.
Mentre Immuni esordiva, timidamente, ieri si è parlato molto dei messaggi truffaldini connessi all’applicazione che tentano di indurre i cittadini a compiere operazioni dannose per i loro computer per poi ricattarli. Una certa pericolosa confusione è stata generata anche dalla scelta della polizia americana di usare sistemi di tracciamento nel quadro delle operazioni di repressione delle proteste e dei disordini causati dall’assassinio di George Floyd commesso da un poliziotto di Minneapolis. Insomma, in contesto di criminalità digitale e di sorveglianza governativa, la tranquillità dei cittadini in relazione all’uso di un’applicazione per il tracciamento come Immuni, delicatissima in termini di privacy, è stata messa alla prova. Nel tentativo di differenziarsi da tutto questo, il sistema digitale per il contenimento dell’epidemia non si chiama più “contact tracing”, ma “exposure notification”.
Immuni, in effetti è volontaria, pseudonima, temporanea e appare piuttosto solidamente libera dal rischio di un uso improprio perché non consente di connettere i dati alle persone e ai luoghi nei quali si trovano. L’applicazione aiuta a notificare ai cittadini un rischio di contagio: un’attività che comunque viene fatta a mano e a memoria dai sistemi sanitari. La ricostruzione analogica dei contatti, che richiede la collaborazione di vari soggetti, dai ristoratori alle ferrovie, continuerà anche per correggere i probabili errori di Immuni: i falsi positivi e negativi potrebbero essere numerosi a causa delle caratteristiche del bluetooth che non è purtroppo nato per questo scopo.
Anche gli altri paesi europei si pongono problemi simili. Le soluzioni sono diverse. La Germania viaggia sulla stessa lunghezza d’onda dell’Italia, la Francia ha deciso di rifiutare l’aiuto di Apple e Google e di optare per un sistema centralistico, il Belgio non sembra credere nel sistema. Il Regno Unito, che ha fatto una disastrosa sperimentazione all’isola di Wight trovando molti falsi allarmi, è ancora indeciso sull’architettura da adottare. L’interoperabilità tra i sistemi europei resta incerta, dunque. 
Il governo italiano aspetterà la fine della sperimentazione per operare una forte campagna di comunicazione, forse alla fine della prima settimana. L’obiettivo del 60% di utenti è ambizioso. Ma l’effetto-rete è necessario per l’utilità dell’applicazione. 
Insomma, siamo di fronte a un caso esemplare di fenomeno digitale. Buone opportunità. Rischi elevati. Errori da sistemare. Possibili abusi e atti criminali. Ma agendo in base alla ragione, non lasciandosi guidare da un insensato determinismo tecnologico, i probabili vantaggi potrebbero crescere nel tempo. Con una certezza: senza digitale va anche peggio.
Articolo pubblicato sul Sole 24 Ore il 2 giugno 2020