Matematici oltre le frontiere: da Apple a Yale li aiuta un mentore

Emanuele Rossi lavora a Twitter e abita a Imola, Romagna. Twitter non si formalizza sul luogo dal quale i suoi collaboratori lavorano, specialmente dopo il Covid-19, purché siano concentrati e attivi sui progetti dell’azienda. Matematico e informatico, a 24 anni, con una laurea all’Imperial College di Londra e un master all’università di Cambridge, ha collabora alla ricerca di sistemi automatici per riconoscere le fake news e ora si occupa di recommendation. Partito da un normalissimo buon liceo italiano, il Rambaldi Valeriani di Imola, Emanuele ha percorso una strada apparentemente improbabile: «Ma in realtà basta sapere come si fa». E non c’è molto da sapere. Ma ai ragazzi italiani non lo spiega nessuno. Proprio per questo, con Matilde Padovano, 21 anni, che studia computer science a Cambridge, e Francesco Capponi, 27 anni, che lavora a Linkedin, tutti partiti dallo stesso liceo di Imola, ha fondato nel 2018 un servizio non profit, Lead the Future, per informare i giovani italiani su come iscriversi alle università internazionali. Con risultati sorprendenti. In tre anni sono stati selezionati duecento candidati. E oltre cento persone che si trovano in posti eccezionali, da Apple a Amazon, da Yale a Stanford, si sono messe disposizione per aprire loro le porte della conoscenza.
È una storia che quei tre ragazzi hanno scritto da soli. Tutto è cominciato con le Olimpiadi della Matematica, nel 2012-2013, quando Emanuele frequentava il terzo anno del liceo. C’era anche Francesco: «Lui aveva tre anni più di me. Ma fuori dalla scuola con lui imparavamo il lunguaggio di programmazione C++». E c’era Matilde appena arrivata in prima e subito entrata nel giro. La scuola partecipava alle Olimpiadi: gare individuali e a squadre. «Ci siamo organizzati e iscritti». Ed è stata la scintilla. «Alle Olimpiadi la matematica è un po’ diversa. A scuola ti insegnano un argomento e poi ti danno il problema: se ti ricordi la spiegazione vai avanti, altrimenti ti fermi. Alle Olimpiadi ti danno i problemi, ma sei tu a dover trovare l’approccio per affrontarli. Si compete in modo sano e si trovano stimoli che altrimenti mancano».
Da quell’anno in poi, alle Olimpiadi, gli imolesi ottengono successi evidenti. Che non nascono dal nulla: dal 2012, appunto, cominciano a costruire una comunità di studenti che si aiutano a imparare programmazione e logica e si allenano per le Olimpiadi, la AlgoGen. Una serie di bronzi, argenti e ori individuali e a squadre porta il liceo di Imola a superare i grandi istituti delle città più popolose. I ragazzi non avevano ancora idea di che cosa fare dopo il liceo, ma avevano scoperto una passione per la matematica e incontrato persone diverse che aprirono per loro mondi nuovi. Per esempio, li aiutarono a pensare di andare a studiare in collegi di eccellenza in Italia o all’estero. «Sembrava una prospettiva lontana. Il processo di selezione per l’iscrizione alle università tipo Cambridge sembra insormontabile. Ma se qualcuno ti guida diventa facile. Quando Matilde ha iniziato informatica a Cambridge era l’unica italiana. Adesso sono dieci. Con due ore di supporto, con qualcuno che ti spiega come si fa un “personal statement” e come avere una lettera di referenze, si fa una domanda che permette di entrare quasi sempre».
Fedeli  a una  cultura solidale con il loro territorio, quando tornavano a casa, i tre imolesi giravano per i licei spiegando di queste opportunità. «Ci siamo accorti che così il processo non scalava». Abbiamo pensato a fare evolvere AlgoGen in Lead the future: la piattaforma mette in collegamento “mentor” e “mentee”. Da una parte, ci sono persone che si trovano in posti eccezionali, vogliono restituire ai giovani italiani un po’ dei vantaggi che il loro paese gli ha dato e sono disponibili a spiegare come si entra in certe università o come si fa domanda per lavorare nelle imprese innovative; dall’altra parte, ci sono i giovani interessati a studiare in quelle università e a lavorare in quelle aziende. Lead the Future seleziona i candidati, scegliendoli non soltanto in base ai voti ma anche e soprattutto in base a quanto hanno fatto in più rispetto al normale programma scolastico. «Sono molto importanti le esperienze di stage, la partecipazione a progetti veri, gli incontri con le startup. Le migliori università, in Italia e all’estero, facilitano queste esperienze. È anche così che si scopre come è fatto il mondo».
Emanuele è un esempio. «Ho fatto diversi stage. Al secondo anno sono stato ammesso a Google, il sogno di molti. Ho  conosciuto persone che facevano ricerca usando il machine learning. Uno era italiano e sono rimasto in contatto. Alla fine del master sono andato a lavorare con loro, sotto la guida del professor Michael Bronstein. Il progetto era bellissimo: applicava il machine learning ai grafi invece che, come si fa di solito, alle fotografie o ai testi. Studiando i grafi si elaborano modelli di comportamento delle reti. Abbiamo applicato il metodo al riconoscimento delle fake news: non ne analizziamo il contenuto ma il modello di diffusione. Io aiutavo allo sviluppo del machine learning». La startup, Fabula Ai, che faceva questa ricerca è stata acquisita da Twitter che ha tenuto i collaboratori. Emanuele compreso.
E ora la nuova esperienza, post-coronavirus. «Gli orari sono sempre stati flessibili a Twitter. Tutto è basato sui risultati. Ultimamente c’è libertà anche nello spazio. Twitter già prima del coronavirus voleva diventare azienda che opera da remoto. Già prima io lavoravo almeno un giorno da casa e facevo weekend lunghi a Imola. Il Covid-19 ha accelerato tutto».
Quella di questi ragazzi è una storia di porte trovate aperte. Che i tre fondatori, insieme ai nuovi membri del team, Gabriele Corso, Nicola Croce, Samuele Ceroni, Federico Dragoni, ripensano per restituire aperture agli italiani. Perché nel lungo termine la partecipazione dei giovani a una dimensione economica internazionale è destinata a essere decisiva, per loro e per l’Italia. E se non ci pensa qualcuno, la distanza tra chi è dentro e chi è fuori aumenta troppo. Come osserva Francesco Capponi: «Un tempo le rimesse degli emigranti aiutavano l’italia con la moneta. Oggi lo fanno a livello cognitivo». Il che è coerente  con le caratteristiche dell’economia della conoscenza.
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