Nella settimana che il Maxxi – il museo e centro culturale che a Roma esplora e mostra la contemporaneità – ha dedicato a un importante festival per celebrare i suoi dieci anni è stata presentata anche una mostra sulla casa all’epoca del coronavirus. La scoperta retroattiva della possibilità di lavorare da remoto facendo uso delle piattaforme digitali, dovuta alla clausura decisa per contenere l’epidemia Covid-19, è destinata a lasciare conseguenze per un tempo più lungo di quello che servirà a contenere il virus. E come le prospettive degli uffici del futuro è messa in discussione, così lo è quella della casa del futuro. Indubbiamente l’esperienza del lavoro da remoto per come è stato vissuto nei mesi del lockdown non è necessariamente intelligente, ma ha dimostrato la possibilità di cambiare le abitudini di lavoro, gli spostamenti quotidiani, le forme dell’organizzazione del lavoro. A giudicare da una quantità importante di segnali provenienti da un numero crescente di aziende, gli uffici potrebbero dover essere usati in modo diverso: per essere usati di più come luoghi di incontro e di attivazione di processi creativi, per essere usati di meno per le operazioni routinarie quotidiane. Anche perché queste potranno essere svolte da casa. A condizione che anche la casa cambi.
La mostra inaugurata al Maxxi si interroga intorno a questo cambiamento. La casa pensata dai designer e gli architetti che hanno contribuito diventa “tecnologica, ecologica, multitasking”. Gli spazi diventano multifunzionali. «Il tema dell’abitare» dice Giovanna Melandri, presidente della Fondazione MAXXI «è oggi più che mai di attualità, dopo il lungo periodo di lockdown che ha cambiato per sempre la nostra idea di casa e la fruizione dello spazio domestico. Ci è dunque sembrato giusto sviluppare questo filone di ricerca, attraverso le visioni e le intuizioni di artisti, architetti, designer e creativi». C’è una nuova utilizzazione degli spazi, c’è la speranza che si allarghino, probabilmente, c’è il senso di una casa da vivere e abitare per un tempo molto maggiore che in passato. E naturalmente c’è l’integrazione sempre più intensa con il digitale, tanto da poter addirittura diventare invisibile come preconizzato da Don Norman, il designer che aveva sviluppato proprio questa intuizione.
La tecnologia digitale abilita possibilità. Ma le sue conseguenze non sono ineluttabili, come scrive Andrea Prencipe, rettore della Luiss, nell’introduzione al libro di Nicholas Agar, “Non essere una macchina. Come restare umani nell’era digitale” (Luiss University Press, 2020). In realtà, le conseguenze possono essere diverse a seconda del modo con il quale la tecnologia è progettata e applicata. E la consapevolezza di questo fatto è il primo passo per poter indirizzare in modo sensato queste tendenze.
Specialmente nella casa, probabilmente, di vorrebbe vedere qualcosa di umano. Più che alla robotica e all’internet delle cose, la casa richiede un approccio progettuale accogliente, empatico, economicamente equilibrato. Le esplorazioni dei designer e degli architetti in mostra al Maxxi in effetti sembrano perseguire questo obiettivo. E i loro suggerimenti dovrebbero essere presi in considerazione non soltanto dagli amanti della progettazione degli spazi, ma anche dai costruttori di tecnologie.
Articolo pubblicato su Nòva il 21 giugno 2020