In che modo la tecnologia digitale ha cambiato il mercato del lavoro? Questione strategica, resa più urgente dall’accelerazione della digitalizzazione conseguente alla clausura delle persone in casa e al blocco delle attività economiche decisa per contenere l’epidemia Covid-19. Il recente Employment Outlook 2020 dell’Ocse offre qualche significativo elemento per rispondere.
Prima osservazione: almeno due terzi dei mestieri non si possono ancora svolgere da casa. Nonostante l’enorme adozione delle piattaforme digitali per la collaborazione a distanza, che ha consentito il diffuso ricorso al lavoro da remoto in certi servizi, la gran parte dei mestieri deve continuare a svolgersi utilizzando strumenti che non si possono portare a casa: laboratori scientifici, fabbriche, luoghi turistici, camion e mille altre strumentazioni non cambiano in due mesi. Quando queste chiudono, il lavoro si ferma malamente. E non riparte semplicemente schiacciando un interruttore. Del resto, la digitalizzazione ha consentito il lavoro da casa ma non senza difetti: la grande organizzazione della scuola da remoto è stata – salvo alcune straordinarie eccezioni – meno che perfetta e la mancata riapertura delle scuole ha reso inefficiente il lavoro di chi aveva i figli a casa; restano aperte questioni come la capacità del sistema dei servizi pubblici di approfittare della minore attività corrente per recuperare ritardi accumulati e come la tempestività dell’investimento delle aziende per ridurre le disparità tra i lavoratori dotati in famiglia di connessioni e strumentazioni informatiche adeguate e quelli che erano meno preparati.
Seconda osservazione: i posti occupati da lavoratori con una preparazione media diminuiscono a favore dei posti occupati la lavoratori con preparazione bassa e preparazione eccellente. La digitalizzazione può essere in parte responsabile dell’aumento di posti di lavoro per persone con scarsa preparazione, attraverso le varie piattaforme che servono alla logistica elementare nelle città. E potrebbe anche avere avuto la capacità di influire sul passaggio a forme di lavoro più sofisticato per chi in precedenza si trovava a metà classifica, grazie all’educazione a distanza e alle strategie di riqualificazione dell’occupazione messe in opera soprattutto del nord Europa.
La conseguenza fondamentale della digitalizzazione sembra essere quella di esacerbare la polarizzazione nel sistema economico e sociale. Il suo impatto sui meccanismi di inclusione delle persone nel sistema sembra meno potente della sua influenza sulla crescita della distanza tra chi ce la fa e chi non ce la fa. Nell’economia della conoscenza, comprendere il digitale è essenziale per crescere: ma non comprenderlo può condannare chi resta indietro a un peggioramento drastico delle opportunità.
La soluzione a questo problema non è l’abbandono del digitale. Piuttosto: l’investimento in educazione, inclusione, esperienza; l’incentivazione alla creazione di sistemi digitali più facili da comprendere; l’introduzione di robotica al servizio delle persone e non al posto delle persone.
Il digitale non è un progetto di società. Piuttosto il progetto di società – implicito o esplicito – spiega la forma emergente del digitale.
Articolo pubblicato su Nòva il 12 luglio 2020