Intervista a Gaetano Manfredi, sul Programma Nazionale della Ricerca

I soldi non sono tutti uguali. Si pesano. E si pensano. Sempre. Ma soprattutto in periodi come quello attuale, quando per curare gli effetti collaterali della clausura decisa per contenere la pandemia, si alimenta l’economia con la spesa pubblica. Alcuni modi di spendere il denaro pubblico servono solo alla sopravvivenza, “intubano” l’economia sostenendo i consumi.  Per guarire occorre il vaccino degli investimenti. Se ben pesati, e pensati, gli investimenti nella ricerca pubblica possono avere un valore che si moltiplica man mano che i soldi entrano in circolazione. Ecco perché il Programma Nazionale della Ricerca 2021-2027 è strategico. Quali sono le priorità? Come cambia l’organizzazione? Ci sono più risorse? Il Sole 24 Ore ne ha potuto parlarne con il ministro dell’Università e della Ricerca, Gaetano Manfredi, mentre si lancia una consultazione per coinvolgere la comunità scientifica nella programmazione della ricerca per i prossimi sette anni. E proprio quando si discute su come allocare le risorse che arriveranno col Recovery Fund.
Il ministro, più a suo agio se lo si chiama professore, ha messo il “nuovo” ministero – separato dalla scuola – al servizio di un vasto sistema che comprende la ricerca svolta nei diversi ministeri, nelle strutture di competenza delle regioni, ovviamente nelle università e nei centri di ricerca ma anche nelle Accademie di Belle Arti e persino dei musei o delle biblioteche. Nel solco della strategia definita dalla Commissione Europea. L’Italia che negli ultimi decenni di desertificazione di bilancio ha ridotto la sua spesa in ricerca all’1% del Pil, contro il 3% della media europea, sta per spendere una quantità di soldi pubblici che non si vedeva dal piano Marshall e non si può permettere di sprecare l’occasione di modernizzare il suo futuro rilanciando la ricerca e l’innovazione.
A questo punto, governare non è più storytelling: è scrivere una pagina di storia. Si tratta di una responsabilità come ce ne sono poche
Quali sono i temi strategici del Programma 2021-2027?
I temi strategici sono tre. Tutte le attività della ricerca sono attraversate da due fondamentali tendenze: l’impatto delle tecnologie digitali e la transizione green definiscono il carattere innovativo di tutto, dalla salute all’agricoltura, dalle scienze umane all’ingegneria, dall’innovazione industriale alla rivoluzione delle competenze. Inoltre, tutte le attività della ricerca devono essere dirette a perseguire l’avvento di una società più inclusiva e più equa, anche perché dopo la pandemia sappiamo che il modello di sviluppo va rivisto. Infine, occorre una riorganizzazione del rapporto tra ricerca e sviluppo industriale, per accorciare la catena tra la ricerca, l’innovazione, l’industrializzazione; il tutto prestando attenzione alle esigenze delle piccole e medie imprese italiane.
Aumentano le risorse a disposizione della ricerca pubblica?
Ci allontaniamo in modo significativo da quell’1% del Pil. Da subito ci sono 700 milioni di euro in più, anche per l’assunzione di 6mila ricercatori. Con il Recovery Fund avremo tra i 5 e i 10 miliardi in più per 3 o 4 anni.
Le incertezze dei numeri sono dovute a divergenze nel governo?
Il governo è compatto nel ritenere la ricerca una priorità strategica essenziale per il futuro dell’Italia.
Quali sono le priorità di spesa?
I temi sono molti e possono variare nel tempo: biomedicina, sicurezza civile, agricoltura di precisione e cibo di qualità, scienze umane al servizio dell’impatto sociale della ricerca, temi digitali e ambientali, sono argomenti imprescindibili, soprattutto a valle della pandemia. Ma le discipline devono connettersi: i problemi complessi si risolvono con soluzioni complesse. Per esempio, l’agricoltura di precisione, una delle questioni identitarie italiane, implica la collaborazione di chi studia agraria con la ricerca spaziale, i big data e l’intelligenza artificiale, la socio-economia, e cosi via.
La sicurezza è un tema complesso e un obiettivo impossibile…
Non si può raggiungere la sicurezza perfetta. Ci si può avvicinare alla consapevolezza. La cittadinanza deve gestire il rischio: è una questione di educazione, di resilienza sociale, di accettazione di un approccio probabilistico alla realtà. La ricerca è parte integrante di ciò che la società deve imparare a fare per contenere il rischio.
Come ha giudicato la secretazione (poi superata) delle discussioni in seno al Comitato tecnico scientifico? La scienza non si fa nel segreto…
Si è dovuta gestire l’emotività.
Quelle discussioni, e le decisioni conseguenti, hanno aperto una crisi economica senza molti precedenti: abbiamo imparato qualcosa?
Le grandi tragedie sono traumi. Le società sono come sistemi biologici e devono rigenerare i tessuti: dobbiamo cogliere l’opportunità di ripensare a fondo il nostro modello e riprogettarlo guardando al lungo termine.
Si può cambiare il modo di finanziare la ricerca? Come vede il pre-commercial procurement?
Ci stiamo lavorando molto con il ministero dello Sviluppo Economico. È uno strumento importantissimo  e sottoutilizzato in Italia. Anche perché ci sono regole che non favoriscono l’innovazione. Si perde un vantaggio per il sistema  e per i cittadini. Lavoriamo per semplificare le procedure.
Com’è il telelavoro nella ricerca?
Certe infrastrutture di ricerca impongono di lavorare in laboratorio. L’esperienza ha insegnato che se i lavori di routine si possono fare da casa, i momenti creativi si vivono insieme. Lo smartworking serve a risparmiare sui viaggi ed equilibrare lavoro e famiglia: ma ci vuole un’organizzazione più intelligente per fare il lavoro a distanza e  mantenere viva la creatività.
La gestione del personale del Cnr con le regole della pubblica amministrazione non è sempre efficace per l’attività di ricerca. All’Iit ci sono i contratti  a tempo determinato…
Troppa burocrazia non fa bene alla ricerca. Ma neppure troppa mobilità, se riduce l’accumulazione di conoscenza. Il giusto è nel mezzo, purché favorisca il merito. Il Cnr andrebbe semplificato: ma non sono sicuro che il tempo determinato sia la soluzione.
Sette anni sono lunghi per un programma di ricerca nazionale?
Potranno cambiare i temi. Ma non lo spirito: digitale e green, impatto sociale, filiera corta tra ricerca e industria ispirano tutta la nostra strategia.
Intervista pubblicata sul Sole 24 Ore l’11 agosto 2020
foto pubblicata su Wikipedia