Chi penserà la strategia italiana sull’intelligenza artificiale

Da un articolo uscito su Nòva e 24+, servizio in abbonamento.
La transizione ecologica e quella sociale che la contemporaneità chiede anche all’Italia di compiere sarà abilitata dalla transizione digitale. E alla frontiera di quest’ultima, dal punto di vista tecnologico, c’è lo sviluppo del complesso insieme di sistemi che generano grandi volumi di dati e le intelligenze artificiali che servono a valorizzarli. Perciò, fino a questa settimana, si poteva alzare un sopracciglio osservando come, nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, l’intelligenza artificiale non sia considerata una tecnologia abilitante e notando che l’Italia è uno dei sette paesi europei – con Grecia, Romania, Irlanda, Austria, Belgio, Croazia – che ancora non hanno deciso una strategia nazionale per l’intelligenza artificiale.
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In generale, una strategia nazionale copre un vasto insieme di argomenti: miglioramento delle competenze del capitale umano, accelerazione del passaggio delle conoscenze dalla ricerca alla produzione, networking tra accademia, ricerca e business, investimenti nelle infrastrutture e regolamentazione. Il gruppo di lavoro probabilmente si concentrerà sulle questioni abilitanti per tutto il sistema, suggerendo per il resto approfondimenti verticali: per la formazione probabilmente richiamerà le competenze del ministero dell’Istruzione, per la sanità le regioni e il ministero preposto, per la regolamentazione farà soprattutto riferimento all’elaborazione in sede europea, per le infrastrutture potrebbe ricordare il rapporto tra le scelte tecnologiche che il governo sta facendo su connessione e cloud computing e le conseguenze in termini di sovranità dei dati e qualità delle applicazioni dell’intelligenza artificiale. In questo senso, il gruppo potrebbe persino contribuire alla chiarezza del contributo italiano ai tavoli che a Bruxelles si stanno occupando, proprio quest’anno, di innovare la regolamentazione sui dati, l’intelligenza artificiale, i servizi e i mercati digitali. Di sicuro, dovrà scegliere su che cosa concentrarsi nei prossimi brevissimi due mesi.

Le indiscrezioni trapelate indicano che l’Istituto nazionale dedicato all’intelligenza artificiale che il precedente governo aveva pensato di collocare a Torino non è confermato nella sua forma originaria. Guardando alla configurazione assunta dall’ambizioso e importantissimo piano per dottorati sull’intelligenza artificiale avviato in queste settimane si può forse immaginare che l’architettura della strategia nazionale almeno per quanto riguarda la ricerca sarà basata su una federazione di centri, ciascuno tendenzialmente specializzato in un aspetto verticale. Sappiamo che la strategia nazionale per ricerca, innovazione, formazione, dovrà facilitare il passaggio della conoscenza dal mondo universitario a quello dell’impresa: anzi, si può scommettere che la quantità di investimenti destinata a questa tecnologia sarà tanto più ampia quanto più importante sarà l’insieme di progetti che il gruppo di lavoro riuscirà a fare emergere. Quanto alla governance del processo: nella formulazione precedente, la strategia nazionale prevedeva un gabinetto interministeriale per monitorare i risultati e favorire lo sviluppo interdisciplinare della policy. I tre ministri presenti al lancio del gruppo di lavoro ne sono forse un primo nucleo, non esaustivo. In effetti, nella versione precedente, la strategia nazionale prevedeva che ogni ministero si dotasse a sua volta di un nucleo destinato a studiare le implicazioni dell’intelligenza artificiale sulle sue attività. Perché, senza esagerarne l’importanza, questa è una tecnologia abilitante per quasi qualsiasi cosa.

I dilemmi politici non sono da poco. Vedere la policy dei dati e quella dell’intelligenza artificiale come due argomenti separati o come facce della stessa medaglia? Comprare soluzioni sviluppate in Usa o Cina oppure spingere per la produzione europea? Concentrare gli investimenti sulla connessione fisica o elaborare un pensiero sulle infrastrutture logiche? Affrontare davvero il nodo della scarsità di competenze digitali in Italia oppure limitarsi a lanciare qualche corso di aggiornamento? Il gruppo di lavoro appena nato ci potrà ragionare fino a settembre. Il governo ci dovrà pensare di più.