Intelligenza artificiale . «Viene raccontata in base a due punti di vista opposti: gli entusiasti e i distopici». Ma l’ex presidente dell’Erc Helga Nowotni invita a uscire da questa dicotomia: «La consapevolezza della complessità ci aiuta a comprendere la realtà». Articolo pubblicato su Nòva il 17 luglio 2022.
Le macchine delle previsioni: intelligenza artificiale e big data. Sono tecnologie pensate per risolvere problemi pratici, ma pongono grandi problemi teorici. La loro abilità cognitiva emergente e l’allusione antropomorfa contenuta nel concetto di “intelligenza artificiale” suggeriscono dibattiti che oscillano tra l’entusiasmo e il timore. Alcuni le vedono come “scatole nere” che arrivano alle loro conclusioni indipendentemente dalla capacità degli umani di comprenderle. Altri le considerano semplicemente come soluzioni per moltiplicare l’efficienza e la produttività. Negli incubi più audaci, spesso ripetuti, sono immaginate come sostituti delle funzioni mentali degli umani. Un fatto è certo, non bastano le analisi dei tecnologi per comprendere queste tecnologie. La loro dinamica è immersa nelle strutture sociali. E gli scienziati sociali sono parte integrante della ricerca sull’evoluzione della tecnologia digitale. Helga Nowotni è tra i più autorevoli.
Nowotni studia la scienza dal punto di vista sociale con mente aperta, sincera curiosità e spirito di servizio. Ha presieduto il Consiglio Europeo della Ricerca (Erc), insegna a Zurigo, è parte delle accademie delle scienze di Svezia, Belgio, Germania, Austria, Italia. Ha condotto ricerche sul tempo, la complessità, il digitale. Il suo ultimo libro, in inglese, si intitola “In AI We Trust: Power, Illusion and Control of Predictive Algorithms” (2021). Pensando al motto riportato su tutte le banconote degli Stati Uniti – In God We Trust – nel titolo del libro di Nowotni, l’intelligenza artificiale prende il posto di Dio. E proprio per questo, il titolo in Italia è diventato: “Le macchine di Dio. Gli algoritmi predittivi e l’illusione del controllo” (Luiss 2022).
E dunque, appunto: «L’intelligenza artificiale è raccontata quasi sempre in base a due punti di vista opposti: gli entusiasti e i distopici – dice Nowotni -. Ho cercato la mia via». La sensibilità di Nowotni per il tempo la conduce a interpretare l’intelligenza artificiale come “narrazione del futuro”: «Gli algoritmi predittivi influenzano la nostra prospettiva. Innanzitutto nella vita quotidiana: quali libri compreremo, quali vacanze ci prenderemo. E poi nelle attività istituzionali: negli Stati Uniti, gli algoritmi predittivi sono stati usati dalla polizia o dai tribunali per prevedere chi tornerà a commettere crimini e chi merita di evitare la prigione pagando una cauzione. E infine ci sono le applicazioni dell’intelligenza artificiale per fare previsioni sull’economia o sul clima». Tutto questo ha conseguenze profonde. «Se abbiamo fiducia nell’algoritmo predittivo allora è probabile che agiremo in base alle sue previsioni. Che diventano così profezie che si autoavverano. Questo è problematico. Il futuro è un orizzonte aperto. Ma la fiducia nelle previsioni lo chiude. L’umanità ha impiegato millenni per liberarsi dall’idea che il futuro sia predeterminato. Solo nell’Illuminismo si è creato uno spazio culturale capace di convincere le società a pensare che il futuro offre possibilità di vita diverse da quelle cui le società avevano sperimentato in passato. Il futuro diventava un orizzonte aperto. Il futuro poteva essere diverso dal passato».
Il futuro poteva essere diverso e migliore del passato. Anche l’idea di progresso è venuta fuori da lì. Ma oggi questa idea è in crisi. «Nel ceto medio dei Paesi sviluppati occidentali pochi pensano che i figli staranno meglio dei genitori. È diverso in Asia. Se in Occidente la fede nel progresso è finita, ci si può domandare che cosa possa rimpiazzarla».
Il digitale è stato una parte del processo di apertura di nuove possibilità. Ma l’intelligenza artificiale, come macchina delle previsioni, estrapola conoscenze dai dati del passato per dare risposte sul futuro. «Viviamo in una macchina del tempo digitale – scrive Nowotni -. Ci affanniamo a produrre previsioni con le tecnologie digitali, cercando di controllare ciò che appare incontrollabile. Gli algoritmi predittivi ci rassicurano dispiegando davanti a noi le traiettorie del nostro comportamento futuro». È un tentativo di salvare l’idea di progresso lineare, predeterminabile. Ma è inadatto, secondo Nowotni, all’epoca della complessità.
E dunque, che cosa c’è al posto del progresso? «L’evoluzione non ha finalità. Ma gli umani hanno i loro obiettivi. La nuova idea di progresso accetta l’incertezza, perché è la chiave che apre nuove possibilità. La consapevolezza della complessità ci aiuta a comprendere la realtà. La scienza ci offre una strada nuova per il miglioramento: una forma di co-evoluzione che avviene non solo per via biologica ma anche culturale, nella quale c’è posto per le mutazioni genetiche e per le finalità umanistiche». Nessuno sa dove porterà. Ma ci offre l’opportunità di contribuire.
Foto: “Algorithmic Contaminations” by derekGavey is licensed under CC BY 2.0.