Articolo pubblicato su Nòva, Il Sole 24 Ore, il 23 ottobre 2022
Quanta CO2 si emette schiacciando il bottone “like” su un social network? Quante risorse non rinnovabili si consumano guardando un film in streaming? Che impatto ecologico può avere la digitalizzazione della pubblica amministrazione? Quello che appare, in quei, casi è il movimento di un software, che di per sé non emette CO2. Ma quello che non appare è tutt’altro che immateriale. Ci sono i terminali e le risorse non rinnovabili, i metalli rari, i prodotti chimici che servono per fabbricarli. Ci sono i cavi, i datacenter, le centraline. Si parla spesso dei costi energetici della blockchain, l’infrastruttura delle monete elettroniche come il bitcoin. Ma ci sono 34 miliardi di apparecchi elettronici sulla Terra, stima Frédéric Bordage, per GreenIT, e il loro funzionamento consuma il 10% dell’energia elettrica mondiale. E poiché il 35% dell’energia usata dai computer viene dal carbone, il digitale è responsabile del 4% delle emissioni globali di CO2, circa il doppio dell’aviazione, secondo un rapporto del think tank The Shift Project. E dunque, qual è l’impronta ecologica della digitalizzazione?
Non c’è probabilmente un problema più complesso della transizione ecologica. Ed è una consolazione pensare che la transizione digitale sarà d’aiuto. Riorganizzando le reti elettriche per consentire il contributo di piccoli produttori di energia pulita. Abilitando l’agricoltura di precisione che riduce gli sprechi e il fabbisogno di acqua, fertilizzanti e antiparassitari chimici. Trasformando le città in sistemi efficienti, sostenibili, bene informati: capaci di alimentare l’innovazione per la sostenibilità. Se c’è scampo dall’emergenza climatica, se si può migliorare il sistema sanitario, se si può riorganizzare il sistema educativo, le soluzioni si trovano facendo leva sul digitale. Uno studio dell’Unesco sosteneva nel 2015 che il digitale può ridurre l’impronta carbonica dei sistemi economici in quantità sette volte superiore alle emissioni dovute al digitale. L’Unctad dice che la CO2 risparmiata con l’impiego corretto del digitale è pari al 15% delle emissioni totali. Secondo GeSI, il digitale può fare risparmiare emissioni di CO2 in misura dieci volte superiore alle emissioni causate dal digitale entro il 2030. Ma secondo gli studiosi intervistati da Guillaume Pitron, giornalista d’inchiesta, queste stime sono basate su dati dubbi: in sostanza tengono conto di tutte le forme di risparmio che il digitale può realizzare ma non di tutte le forme di inquinamento generate dal digitale.
Pitron ha dedicato all’argomento un libro informatissimo, “Inferno digitale” (Luiss 2022). Mostra come nelle filiere lunghissime della produzione di microprocessori, smartphone, server, cavi, le esternalità negative prendono la forma delle emissioni di CO2, ma anche di molte altri tipi di inquinamento, anche per i prodotti chimici usati nelle lavorazioni, mentre il consumo di acqua ed elettricità per i datacenter è ogni giorno più preoccupante.
E c’è una dinamica evolutiva da tener presente. Secondo Ray Galvin, autore di un paper pubblicato da Ecological Economics, il risparmio nei consumi di energia reso possibile dal progresso tecnico nell’elettronica contribuisce all’aumento dell’impiego di elettronica in sempre più applicazioni e per questo motivo aumenta i consumi assoluti di energia: in questa rincorsa, secondo Galvin, l’aumento complessivo dei consumi rischia di essere superiore al ritmo di aumento dei risparmi.
Ricorda Pitron che con i ritmi attuali di crescita dell’impiego di elettronica nel mondo il consumo di elettricità di questo settore potrebbe raggiungere la quota del 20% del consumo mondiale entro il 2025, contribuendo a quasi l’8% delle emissioni di CO2. Intervistato da Nòva, Pitron osserva che il problema non è risolto: è difficile trovare i dati sull’inquinamento provocato dal digitale, è difficile vedere di persona i luoghi nei quali si producono i metalli rari che servono all’elettronica, è difficile superare la segretezza delle attività dei gestori dei cavi sottomarini e di molti datacenter. Soprattutto è difficile tener conto di tutte le interrelazioni tra elementi del sistema. Lui ha tentato di farlo e ne dà conto nel suo libro.
L’argomento va discusso. Ma è chiaro che il digitale è tutt’altro che immateriale. Il suo effetto generatore di risparmio nelle emissioni è probabilmente positivo. Ma la crescita esponenziale delle risorse consumate dall’elettronica non va sottovalutata. Il bilancio ecologico del digitale è tutt’altro che scritto. La strada non è l’abbandono del digitale, ma l’accelerazione del ricorso a fonti rinnovabili per la produzione di energia elettrica. Se la transizione digitale aiuterà la transizione ecologica è perché questa renderà sostenibile quella.
Foto: “Microsoft Bing Maps’ datacenter” by Robert Scoble is licensed under CC BY 2.0.