La città senza parcheggi

Articolo pubblicato su Nòva, Il Sole 24 Ore, il 2 luglio 2023 (questa è una versione non tagliata)


Una decina d’anni fa, Renzo Piano ha usato la parola “utopia” per descrivere il grattacielo che ha disegnato per Southwark a Londra, The Shard. Da quell’altitudine in effetti non era insensato immaginare di guidare lo sviluppo urbano in una logica top-down. A quell’epoca, occorreva una guida forte per imporre un tale cambiamento nella visione del futuro della città. Concepito nel 2000 e terminato nel 2012, The Shard, doveva innovare sul piano del consumo energetico, della socialità, dell’economia. Era la sintesi di un modello di intensificazione della vita cittadina nel quale si abbandonava la specializzazione degli edifici e il ricorso al trasporto privato. Nei piani bassi, The Shard, ospitava uffici, la parte centrale era destinata a un grande albergo, i piani alti erano per abitazioni e la cima era uno spazio pubblico per ammirare il panorama. Interpretava il movimento nella città in un modo del tutto nuovo: poiché si trovava all’intersezione tra molte importanti linee del trasporto pubblico londinese, il grattacielo, poteva ospitare 7mila persone ma aveva un parcheggio per soltanto 48 automobili. Il parcheggio era progettato per servire alle persone che hanno bisogno di assistenza meccanica per muoversi. In fin dei conti era questo il messaggio: chi vorrà usare The Shard farà meglio ad abbandonare l’idea di girare in automobile. Il futuro è nel trasporto pubblico. O negli spostamenti a piedi e in bicicletta. È una sensibilità che oggi è più diffusa.

Il cambio di stagione è cominciato proprio attorno a quel 2012. La bancarotta di Detroit è del 2013. La crisi finanziaria iniziata con i mutui per la casa nel 2007 aveva preparato il terreno. Ma il declino della città dell’automobile era anche il segno di una trasformazione industriale. Nel frattempo, ai vertici delle classifiche per capitalizzazione la Apple superava Exxon proprio nel 2012. E se quattro delle prime dieci della classifica per fatturato, la Fortune 500, nel 2012 erano ancora legate all’automobile e al petrolio, oggi in quella classifica ne restano solo due.

I tempi della progettazione urbana sono fatalmente lenti. Ma tener conto di tutto questo, quasi un quarto di secolo dopo le intuizioni iniziali del Shard, sembra ormai necessario. Il modello della città americana, basata sull’automobile, è in crisi, con le sue aree specializzate per abitazioni, uffici, commercio e servizi, con il suo inarrestabile commuting, con l’inquinamento conseguente e con la ricerca spasmodica di soluzioni per il wellness, la lotta all’obesità, l’investimento nella prevenzione per la salute. Oggi la nuova infrastruttura fondamentale è la tecnologia digitale. Le conseguenze non dovrebbero essere virtuali, ma profondamente reali e materiali.

Come Piano aveva previsto, per quanto possa apparire un punto di partenza modesto, la riorganizzazione del modello di città all’americana parte proprio dalla critica dei parcheggi. Henry Grabar, autore di “Paved Paradise: How Parking Explains the World” (Penguin 2023), nota che negli Stati Uniti ci sono più metri quadri edificati per ogni automobile di quanti ce ne siano per ciascun umano. Non è un caso: l’auto resta ferma in un parcheggio, in media, per oltre il 90% della sua vita. Dal Dopoguerra, dice Grabar, le città hanno vissuto nell’ansia di non avere abbastanza posto per le macchine. Hanno abbattuto abitazioni per far posto a parcheggi. Come Piano, Grabar è convinto che l’ampia disponibilità di parcheggi sia una determinante dell’utilizzo eccessivo delle automobili, e viceversa.

Se si vogliono ripensare le città, per aumentare la qualità della vita e ridurre l’inquinamento, va ridotto l’uso dell’automobile. Per andare in vacanza in completa libertà, la macchina resta un mezzo attraente: ma per vivere quotidianamente è un impedimento, costoso ed ecologicamente dannoso. Scrive Daniel Knowles, in “Carmageddon” (Abrams 2023): «Oggi a Chicago la gente passa tanto tempo per spostarsi in automobile quanto ne spendeva per muoversi prima della costruzione delle strade carrabili» dice Knowles. Il vantaggio dell’auto non è quello di perdere meno tempo negli spostamenti. «E questo è successo un po’ dappertutto nell’Occiente». Allo stesso modo, il progresso non accelera grazie all’automobile. «In America ci sono 290 milioni di automobili sulla strada» dice Knowles: «Tre quarti degli americani vanno al lavoro contando soltanto sull’automobile. L’unica città in cui la maggior parte della gente si muove a piedi, in bici o con i mezzi pubblici, è New York». Le esternalità negative dell’automobile sono ingenti, dice Knowles, in termini di emissioni di CO2, di organizzazione dello spazio sociale, di efficienza della gestione del tempo. E se questo è vero in America, lo è ancor più in Europa dove le città non sono nate per l’automobile, ma per epoche infrastrutturali molto precedenti.

Può darsi che la nuova infrastruttura digitale sia l’inizio della vera correzione? Oggi, al centro dello sviluppo non c’è più l’auto ma internet, con il telefono e il computer. Il digitale consente di ripensare il lavoro, anche se lo smartworking non tranquillizza chi gestisce le aziende in modo tradizionale. Il digitale consente anche di riconfiguare i servizi pubblici, anche se non sarà la tecnologia a vincere contro un’interpretazione conservatrice della burocrazia. Del resto, anche il digitale ha le sue esternalità negative, come sa chi soffre per le dipendenze da social network e per la riduzione della qualità della conoscenza in circolazione. Per ora non si è vista un’urbanistica centrata sullo smartphone che sia realizzata con la stessa convinzione con la quale era stata fatta a suo tempo un’urbanistica centrata sull’automobile. Probabilmente, la soluzione potrebbe essere quella più volte annunciata: il digitale applicato all’automobile, l’auto elettrica che si guida da sola, pensata come infrastruttura da condividere, che abbatte la necessità di parcheggi che supera anche il sistema criticatissimo dei lavoretti sottopagati e ipersfruttati per il delivery. E l’auto privata parcheggiata fuori città per andare in vacanza. Potrebbe essere una forma di adattamento che sarà resa necessaria dall’emergenza climatica? È un’ipotesi. Ma senza questo livello di immaginazione, la correzione della vita cittadina per l’epoca post-automobilistica, resta ancora un’utopia.


Foto: “london skyline” by osde8info is licensed under CC BY-SA 2.0.