Mitologia, lavoro ed elettronica, tra il Mediterraneo e l’Etna, nella campagna catanese. Uno dei luoghi dove finisce, o ricomincia, l’Europa della tecnologia. Nel campus della StMicroelectronics, il casermone chiamato M6 doveva essere uno stabilimento per la produzione di memorie flash usate in tutti gli aggeggi elettronici che devono ricordare i dati anche quando sono spenti. Ma non sarebbe probabilmente mai decollato, nonostante la joint venture con l’Intel: per la palla al piede dei costi relativi a quelli praticati dai terzisti asiatici. La Stm, orgoglio dell’elettronica europea, ha lasciato perdere, vendendo la sua parte nel settore alla Micron. Il bicchiere mezzo vuoto. Le sue maestranze qualificate, il sostegno delle autorità locali, la vicinanza al mercato europeo, un accordo con Enel hanno fatto gola alla giapponese Sharp: qui fabbricherà i pannelli fotovoltaici, per nuovi impianti solari costruiti con il gigante dell’elettricità italiano e che ospiteranno elettronica dell’Stm. Il bicchiere mezzo pieno.
Come va l’Europa della tecnologia? È alla fine o all’inizio? Di certo, perde posizioni in molte classifiche della tecnologia digitale. Ma è ricca di valore, sebbene vagamente invisibile: come negli accelerometri che, mentre il mondo cambiava, la stessa Stm ha inventato, sviluppato e prodotto, rendendoli indispensabili per giganti mondiali come Nintendo, Apple, Toshiba e altri, interessati a installare nei loro prodotti quei nuovi sensori capaci di registrare il movimento nello spazio. Che servono a giocare a tennis con la Wii della Nintendo, per esempio. In questo settore, secondo iSupply, la Stm è leader mondiale. E continua a rilanciare, tecnologicamente, mantenendo a distanza gli avversari, come dimostra l’introduzione recentissima del giroscopio digitale a tre assi.
Questo fatto, insieme ad altri successi mondiali come quelli di Nokia e Vodafone, non sposta l’interpretazione di fondo: l’Europa, con la sua oscura strategia di Lisbona e le sue aziende di grande tradizione, come Philips o Siemens, non fa sognare. Sembra un solido continente che invecchia – nel 2025, il 2,2% degli 8 miliardi di abitanti del pianeta sarà composto da europei con più di 65 anni – mentre la storia è scritta dai baldanzosi leader in jeans di Apple, Google e Facebook, o dagli aggressivi, affamati giganti asiatici, cinesi, taiwanesi, coreani. Sicché gli europei sembrano aver perso contatto con il gruppo di testa nel digitale, anche se si candidano alla leadership futura nelle nanotecnologie o nel green business, come dicono all’Ocse. O troppo indietro o troppo avanti, come se gli europei non fossero in sincrono con il pianeta.
Già. Se il presente è internet e le ondate innovative che si sprigionano dalla rete, è chiaro che gli europei sono altrove. Klaus Hommels, finanziere-guru, calcola: «In Europa, con internet distruggiamo più capitalizzazione di Borsa di quanta ne costruiamo: questo non accade in Usa, Cina, Russia». I settori che internet mette in difficoltà perdono profitto in Europa, dice Hommels, mentre il continente non esprime nuovi leader di mercato e il suo venture capital non sembra avere la mentalità per svilupparli. Le idee degli europei si scontrano anche su uno scoglio difficile da aggirare: la molteplicità delle lingue che frazionano il mercato interno.
La questione è anche più sottile: gli americani, nelle tematiche internettiane, sembrano imbattibili non solo perché hanno i soldi e un grande mercato interno, ma anche perché possiedono un’inarrivabile leadership culturale.
Gli innovatori internettiani possono lavorare ovunque ma, se cercano uno sviluppo globale, scoprono che la strada per trovarlo passa obbligatoriamente dagli Stati Uniti. Skype, la tecnologia leader mondiale nelle telefonate via internet nata in Europa e finita in California, è un caso di studio. «Lavoro da Milano perché mi piace», racconta Erik Lumer, vecchio lupo di mare del web e ora fondatore di Cascaad, piattaforma che cerca successo nello spazio dei motori sociali di ricerca, nuove tecnologie che fanno leva su Twitter e altri social network: «Tengo contatti con la California e ci vado spesso: il successo passa da là». La sua tecnologia non decollerà se non farà presa nella fantasia dei californiani che, a loro volta, trasmetteranno l’entusiasmo al resto del mondo: a farlo conoscere e a incuriosire gli addetti ai lavori è stata un’intervista postata in rete da un arbiter della "coolness" tecnologica come Robert Scoble. Come era successo al Tweefind, motore di ricerca su Twitter realizzato in Sardegna da un gruppetto di sviluppatori guidati da Luca Filigheddu, scoperto e lanciato dal megablog americano Mashable. Nella matassa delle infinite varianti delle tecnologie internettesche, il bandolo deve essere tenuto dal sistema più credibile: in questo settore, attualmente, tra gli americani e gli europei non c’è confronto. Il che ha pesanti conseguenze.
Perché internet è un terreno competitivo nel quale il successo deriva da molti fattori. Certo, ci vuole tecnologia. Ma occorrono gli sviluppatori che generino applicazioni che la rendono utile. E ci vogliono gli utenti che le conferiscono il valore. Prima vengono gli utenti e poi i soldi, ripetono gli internettari americani: tra le molte tecnologie alternative, in rete, vince sempre quella più usata. La conseguenza strategica: le molte, diverse componenti che generano il valore in rete hanno bisogno di un leader che indichi la direzione e il ritmo innovativo per tutto l’ecosistema. Un tempo tutto questo era definito dalla coppia Intel-Microsoft. Oggi il campo si è arricchito: Google, Apple, la stessa Facebook non hanno necessariamente dimensioni colossali in termini di personale, ma guidano centinaia di migliaia di aziende, e centinaia di milioni di persone, nella generazione di valore online. Bisogna concluderne che gli europei sono destinati a uscire dai settori della tecnologia digitale?
La Nokia, il più grande produttore di cellulari del mondo, sulla scorta della leadership che in passato l’Europa ha conquistato nella telefonia mobile, tenta di sviluppare una strategia analoga. L’Alcatel, che compete negli apparati per le tlc, ha ormai la guida di un gruppo globale del quale fa parte anche la Lucent con i suoi mitici laboratori Bell. La tedesca Siemens è pur sempre parte determinante di uno dei sistemi-paese più forti nelle esportazioni anche tecnologiche globali. E la Philips continua a generare innovazioni, talvolta anche nella forma di spin off come è successo nei lettori di libri digitali.
La valutazione assoluta è diversa da quella relativa: l’Asia sta riconquistando un primato dimensionale che era suo alla fine del XVIII secolo e che la rivoluzione industriale europea aveva annullato. Gli Stati Uniti hanno la leadership culturale e una dinamica innovativa ben più veloce. Ma l’Europa c’è: il problema è che non è sotto i riflettori. E anche per questo non attira le risorse finanziarie e le fantasie creative. Come dicono gli associati della European Round Table Industrialist, leader dell’industria tecnologica europea che lavorano per coltivare il valore di lungo periodo del Vecchio continente, ci vuole una visione di prospettiva. E come sanno tutti coloro che innovano, ci vuole la capacità di crederci.