Sentenza labirinto su Google Video

Il giudice Oscar Magi – quello di Abu Omar – ha condannato alcuni responsabili di Google Italia per violazione della legge sulla privacy, in riferimento al video sul bambino che si riteneva affetto dalla sindrome di Down pubblicato su Google Video, mentre li ha assolti dalle accuse di diffamazione.

In pratica, sembra di capire, Google avrebbe dovuto ottenere – o far ottenere dagli autori del video – la liberatoria alla pubblicazione delle immagini. E' possibile che tutto si limiti al fatto che all'epoca dei fatti Google non avesse scritto abbastanza chiaramente nei termini di servizio che è vietato caricare sulla sua piattaforma materiale lesivo della privacy. Ma risulta che i termini di servzio fossero corretti anche allora. E inoltre secondo una fonte il bambino non era affetto dalla sindrome di Down (dunque non sarebbero stati pubblicati dati sensibili su di lui).

La sentenza è di primo grado e non è definitiva. Ma apre uno scenario molto complicato per tutti i provider di accesso a internet e soprattutto le piattaforme che consentono la pubblicazione di materiali informativi (soprattutto ma non necessariamente solo) in video da parte degli utenti. Una complicazione che potrebbe rivelarsi gestibile se fosse semplicemente richiesta una maggiore attenzione all'aspetto burocratico dei termini di servizio.

Ma che potrebbe aprire anche spiragli a ulteriori complicazioni nel caso qualcuno volesse intenderla in modo estensivo. Se fosse portata alle sue conseguenze estreme, questa sentenza significherebbe che prima di pubblicare qualunque cosa riguardi terzi su Twitter, Flickr, YouTube, Facebook, un utente dovrebbe ottenere la liberatoria dai terzi stessi e se non lo fa le piattaforme sono responsabili. Le piattaforme dovrebbero dunque in questo senso vigilare su quanto gli utenti pubblicano: a meno che, appunto, non possano coprirsi semplicemente aggiungendo più chiaramente una richiesta agli utenti di assicurarsi di avere tutto il diritto di pubblicare quello che pubblicano.

Potrebbe essere un colpo molto difficile da sopportare per il mondo degli user generated content. Oppure nient'altro che una maggiore garanzia per la privacy. La strumentalizzazione di una sentenza è sempre possibile: sia in un senso restrittivo che in un senso allarmistico. Solo la pubblicazione della sentenza potrà sciogliere i dubbi. Ma un fatto è certo, al di là del caso specifico: la libertà di informazione è costantemente minacciata da regole difficili da interpretare. Mentre la privacy è costantemente minacciata da piattaforme disattente. L'equilibrio è difficile. E passa prima di tutto dalla consapevolezza degli utenti.

  • Claudio |

    @Stefano
    Google è un ISP: fornisce servizi su Internet. ISP non sono solo i fornitori di connettività.
    Comunque la condanna non è rivolta a Google, ma solo ai suoi dirigenti: il Giudice ha quindi stabilito che la responsabilità penale di ciò che un utente fa del servizio offerto non cade sulla persona giuridica, ma su quella fisica, dipendente della prima.
    Il precedente è chiaro: se confermato o le aziende che forniscono servizi al pubblico (di qualsiasi natura) si dotano di personale specificamente atto al controllo di tutte le azioni degli utenti o non forniscono quel servizio.
    A questo punto tutto dipenderà dal vantaggio a fornire il servizio in questione: se fornirlo rende abbastanza per coprire le spese e generare utili, le aziende opereranno, altrimenti non avvieranno l’impresa.
    Nel caso di Google e YouTube una possibile soluzione è quella di impedire agli utenti italiani di caricare video sui loro server: economico e, soprattutto conforme alle aspettative giuridiche italiane.

  • Stefano De Pietro |

    Si usa dire “non è possibile risolvere oggi i problemi di domani con i metodi di ieri”. La nostra legge è vecchia per Internet. La storia della privacy in Italia fa ridere mezzo mondo: abbiamo la presunzione di reato legata al possesso della linea, la stessa linea che può essere facilmente intercettata nelle cantine di qualsiasi condominio. Ci lamentiamo della pedofilia, poi i genitori non capiscono niente di questi argomenti, come possono sperare che il controllo dei loro figli arrivi da fuori. I nostri giudici sono all’altezza del tipo di causa che si trovano di fronte? Siete mai stati in un tribunale, in una procura dove magari si usa Office piratato, portato da casa da un dipendente perché non ci sono i soldi per le licenze? O dove si lavora nell’assoluta mancanza di norme di sicurezza, non solo informatiche ma anche antincendio? Non mi risulta però che il R.S.P.P. delal scrivania accanto sia condannato in questi casi.
    Cerchiamo di vedere la trave che abbiamo ormai non più solo nell’occhio. La libertà è un bene difficile da gestire già per strada, figuriamoci su una piattaforma dove chiunque può pubblicare filmati personali.
    Per quanto riguarda la privacy tanto osannata, pensate che a norma di legge sono tutte quelle società che vi telefonano a casa (e sul cellulare!) giorno e notte per vendere i loro servizi, mentre io per farmi cancellare dalle loro liste dovrei mandare una raccomandata … ad ognuno di loro: basterebbero 2 milioni di euro alle poste? Questo rientra nel non saper fare della nostra classe politica, persone spesso poco serie, disinformate: ringraziamo Google e Facebook se oggi l’Italia riesce ad avere ancora qualche contatto con l’estero!
    Stefano.

  • Francesco |

    Dal blog officale di Google:
    ” Common sense dictates that only the person who films and uploads a video to a hosting platform could take the steps necessary to protect the privacy and obtain the consent of the people they are filming. European Union law was drafted specifically to give hosting providers a safe harbor from liability so long as they remove illegal content once they are notified of its existence. The belief, rightly in our opinion, was that a notice and take down regime of this kind would help creativity flourish and support free speech while protecting personal privacy.”
    Il senso comune mi dice che accusare google di violare la legge sulla privacy perchè qualcuno pubblica contenuti che non rispettano tale legge è come accusare i responsabili delle pubbliche affissioni perché qualcuno ha affisso un manifesto con una pubblicità non autorizzata.
    Quanto il giudice Oscar Magi chiede di fare porterebbe al paradosso di twitter che chiede la liberatoria al governo dell’Iran per i post della onda verde…

  • Stefano |

    Sono d’accordo con il giudice: non è possibile continuare ad avere in casa piattaforma che godono della competa extraterritorialità fiscale e libertà di manovra in nome della ‘libertà di espressio’ che, è bene ricordare, è si un diritto di tutti ma non è illimitato.
    Occorre poi evitare di far confusione: google NON è un internet service provider.

  • Alessandro Filippi |

    Ma qualcuno hà chiestao a Google se potevamo pubblicare questo articolo?

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