One more thing. Ancora una cosa. C'è sempre ancora una cosa, con Steve
Jobs. "E questa è la più importante che abbia mai fatto". Jobs non
poteva stuzzicare meglio l'appetito per la presentazione dell'iPad. Il
tablet è stato annunciato con una raffica di indiscrezioni teleguidate
che, alla luce dei successi del Mac, dell'iPod-iTunes,
dell'iPhone-AppStore, si sono trasformate nella speranza di vedere
arrivare uno strumento capace di mettere ordine nella complessità della
vita quotidiana digitale e nei business che hanno finora faticato a
sintonizzarsi con l'epoca di internet. Con quelle aspettative, ieri,
tutto si poteva desiderare salvo che una sorpresa: al contrario, si
voleva la conferma che l'iPad non sarebbe stato l'ennesimo gadget del
mondo dell'informatica, ma niente meno che una nuova dimensione di
accesso e utilizzo della rete.
E la conferma è arrivata. Il design e il prezzo sono chiaramente
attraenti. Tutte le tasche che possono permettersi qualcosa che sta tra
i 500 e i mille dollari saranno tentate dall'acquisto: dalla versione
base, da usare nelle case con wi-fi, alla versione completa di
connessione 3G, tastiera esterna e leggio. Se l'esperienza dell'iPhone,
portata a una nuova dimensione, può insegnare qualcosa, è proprio il
fatto che un oggetto che conquista il cuore dei consumatori, connesso
facilmente a un servizio di vendita online, può diventare un canale
straordinario di sviluppo per le aziende che producono software,
giochi, musica, film, libri, giornali. L'iPad è un'opportunità per
queste aziende: per immaginare prodotti innovativi, in versione
digitale, e per trovare una maniera intelligente per venderli.
Un'opportunità. Non di più. L'annuncio di ieri, infatti, è stato
soprattutto un invito agli editori: progettate nuovi prodotti,
meravigliosi, e vendeteli su questa piattaforma che, probabilmente,
avrà un gran numero di entusiasti consumatori. E gli editori che
scommetteranno sulla diffusione dell'iPad potranno cominciare a
ripensare il loro rapporto con gli strumenti di fruizione e
distribuzione digitale: non più preoccupata passività, ma attiva
creatività.
Questo è il nodo cruciale. L'iPod non aveva bisogno di questo passaggio
per conquistare i consumatori: la musica c'era già ed era nel formato
giusto, l'mp3. E le etichette musicali non dovevano fare troppe
complicate scommesse per vendere i loro brani su iTunes: a loro non
costava nulla tentare la via proposta da Jobs. L'iPhone si diffondeva a
sua volta per le sue caratteristiche tecniche e di design: quindi le
aziende che hanno sviluppato le applicazioni per l'iPhone hanno potuto
investire su una base installata relativamente sicura. Per l'iPad, la
situazione è un po' diversa: perché mentre per i giochi la storia sarà
relativamente facile, per i libri e i giornali gli editori dovranno
investire in ricerca, design, inventiva. E questo varrà più per gli
editori di giornali che per quelli di libri. Tanto è vero che ai libri,
Jobs, dopo un doveroso omaggio all'attività pionieristica svolta da
Amazon, ha offerto una libreria, iBooks, dove si potranno trovare le
versioni ePub dei volumi senza necessariamente dotarle di grandi
innovazioni. Per i giornali invece non c'è un'equivalente dell'edicola,
per ora: probabilmente perché i giornali non sono prodotti standard,
sono esperienze complesse, fatte di flussi di notizie e progetti
speciali, di testi da leggere, documenti da ascoltare, video da
guardare, relazioni intense tra il pubblico attivo e gli autori, dotate
di una chiave di lettura speciale. Tutto lascia pensare che dovranno
essere gli editori a interpretare l'opportunità e a costruire le loro
applicazioni con i loro modelli di business. Scommettendo sulla
diffusione di un lettore che promette di piacere a milioni di persone.