L'arte dello spazio

La storia dell’esplorazione dello spazio è un territorio sintetico di tecnologia, scienza e arte. Ha cambiato il paradigma interpretativo attivando la fantasia popolare verso immagini inedite. Il New York Times la vede all’origine di un profondo rinnovamento artistico. E probabilmente, vedere la Terra nel cielo della Luca ha contribuito in modo fondamentale all’idea di globalizzazione. Negli stessi anni, la filosofia e la politica hanno messo in discussione antiche certezze superando i confini abituali delle élite e diventando questioni discusse in modo generalizzato. Guardando indietro nel tempo, forse, vedremo gli ultimi cinquant’anni come un periodo unitario, nel quale l’Occidente ha cambiato il modo di guardare al mondo e scopriremo che l’esplorazione dello spazio, l’arte sperimentale, la filosofia post-moderna, la politica della modernizzazione, internet, le nanotecnologie, la robotica, la genetica, facevano parte dello stesso sogno.

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  • Guido Tedoldi |

    Nell’esplorazione dello spazio, oltre a tutte le componenti già messe in evidenza nel post di De Biase, mi pare se ne debba segnalare un’altra: la possibilità di una permanenza della vita umana al di là di possibili collassi del pianeta che ci ospita, la Terra. Nella lunga storia della vita su questo pianeta ci sono state altre specie che sono state «dominanti» come consideriamo di esserlo noi umani adesso. I dinosauri, per esempio. Poi è arrivato il meteorite, e sbam, via tutti.
    Non voglio qui discutere la correttezza scientifica dell’ipotesi dell’estinzione di massa dei dinosauri. Mi pare più importante il suo impatto emotivo. I dinosauri erano grandi e grossi, ma non abbastanza. Così come non voglio qui discutere la correttezza o meno delle ipotesi secondo le quali il riscaldamento globale in corso sia prodotto dalla civiltà umana. Sta di fatto che diventare capaci di colonizzare lo spazio costituirebbe un grosso vantaggio per la sopravvivenza della specie. Sarebbe il vero affrancamento.
    Andare nello spazio cambia tutto, mi pare. La quasi certezza della morte, come individui e come specie, diventa la quasi certezza che non si morirà più, come specie e forse anche come individui. La carenza di risorse dovute al legame con le favorevoli condizioni di un unico pianeta, diventa l’enormità di quello che c’è là fuori, di cui non siamo nemmeno capaci di vedere i confini.
    Quello che sembrava enorme si scopre essere un granello sperduto nell’immensità. Quello che sembrava inaccessibile, magico, divino, diventa potenzialmente raggiungibile e perlomeno pareggiabile. Ciò che prima si definiva «impossibile» si ridimensiona fino a sembrare semplice mancanza d’adeguata ambizione.
    Ma forse ho frainteso il senso del post.
    Guido Tedoldi

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