A che servono oggi le imprese? Sembra una domanda un po’ folle. Ma in un mondo che cambia rapidamente e, in certi settori, radicalmente, ha un senso persino pratico. In un mondo a rete, caotico, visionario, le imprese devono innovare anche nella consapevolezza del proprio ruolo e della possibilità di cambiarlo. Del resto, se ne parlava proprio stamane a Varese, nel corso di un convegno organizzato dalla Cap Gemini che di folle ha ben poco.
Leggo il post di Gigi Tagliapietra sulla teoria di Abraham Maslow e non posso fare a meno di pensare che proprio oggi l’ha citata anche Carlo Alberto Carnevale Maffè nel suo intervento. In fondo, questa teoria suddivide in classi i bisogni delle persone. E sottolinea come la soddisfazione dei bisogni fisiologici non sia tutto nella vita.
Ma l’economia industriale sembra orientata a soddisfare soprattutto quei bisogni. E’ una macchina straordinariamente efficace per produrre beni materiali. Una macchina che però si trova in qualche difficoltà quando deve invece produrre beni simbolici, relazionali, identitari.
Carnevale Maffè ne conclude che ci si può domandare addirittura se le imprese industriali esisteranno anche in futuro. Di certo non sono eterne, essendo nate da un paio di secoli e avendo assunto la loro forma attuale solo da qualche decennio. E di sicuro di devono rinnovare, sia nella forma, sia nella sostanza. Ma questo lo sanno anche loro. Il problema è che non è per niente chiaro come facciano a rinnovarsi per generare in modo efficiente ed efficace i beni simbolici, relazionali e identitari di cui si parlava sopra. E non è chiaro nemmeno come faranno a riorganizzarsi per rispondere al bisogno più elevato di tutti quelli citati da Maslow: il bisogno di realizzazione delle persone che lavorano.
Il business delle enciclopedie non può non domandarsi se quella dell’impresa sia la soluzione migliore per realizzare il prodotto, visto che Wikipedia, che non è un’impresa, appare perfettamente in grado di sostituirle.
Sono certo che l’impresa sia una piattaforma necessaria e che lo resterà ancora a lungo. Ma sono anche certo che l’impresa industriale si trovi di fronte a scelte radicali. L’immagine del mercato come incontro di domanda e offerta è un contesto in movimento per le imprese, se è vero come è vero, che in molti casi è la stessa domanda che genera l’offerta (come nel caso dell’informazione che viene dal pubblico attivo). Ogni forma di controllo del mercato da parte delle imprese viene messa teoricamente in discussione dalla capacità dei consumatori di influire sulle caratteristiche dei prodotti e di scegliere in modo sempre più indipendente. Le piattaforme sono realizzate da imprese, ma la loro relazione con il mercato non è necessariamente di controllo: è di servizio. Se tutto funziona come deve, per esempio, Google non controlla il mercato ma lo serve. Perché tra Google e i siti o i blog c’è una relazione simbiotica: il motore di ricerca ha valore e vive solo in quanto ci sono tanti siti interessanti da cercare; i siti hanno valore e vivono solo in quanto c’è qualcosa che serve a trovarli. Questo genere di relazione simbiotica si potrebbe sviluppare in molti settori: dall’energia alle nanotecnologie, dal farmaceutico all’entertainment.
L’economia della simbiosi, in fondo, potrebbe essere il primo passo per ridefinire il ruolo dell’impresa, aprendo la strada per un nuovo periodo di sviluppo. Questa volta, forse, più qualitativo che quantitativo.