Domani, 6 giugno, il Berec dovrebbe comunicare le sue decisioni intorno a una delle questioni più controverse, importanti e intricate nella politica della rete: la net neutrality. Il Berec decide se le telco possono discriminare il traffico internet, favorendo certi servizi a danno di altri, per aumentare gli utili. Chi sostiene che gli operatori dovrebbero essere liberi di discriminare il traffico osserva che in questo modo le telco troverebbero nuove risorse per investire. Chi sostiene la net neutrality fa notare che è una condizione essenziale per garantire la libertà di innovazione internettiana: Skype non sarebbe nata se avesse dovuto aspettare l’assenso delle telco e Google, così come Facebook, Amazon, BlaBlaCar e tutti gli altri servizi internettiani sarebbero stati frenati se avessero dovuto pagare per arrivare ai consumatori. Una decisione recente della Commissione europea, in accordo con il Parlamento e il Consiglio, aveva definito la progressiva riduzione del roaming e l’introduzione di regole generiche sulla net neutrality: lasciando però il compito di andare nei dettagli – e scontrarsi con le lobby telefoniche – al Berec, l’organizzazione che associa le autorità che regolamentano le telecomunicazioni in Europa. Secondo la Reuters, che ha visto le carte, il Berec sarà più duro di quanto desiderano le telco: dovranno chiedere il permesso caso per caso alle autorità per discriminare il traffico e non potranno mai danneggiare l’internet libera e aperta. Potranno chiedere ad esempio di prioritizzare la connessione delle auto che si guidano da sole o altri servizi che sarebbe pericoloso lasciare sulla rete aperta e che qualcuno inventerà in futuro. Ma solo dopo aver convinto le autorità sull’opportunità di derogare alla net neutrality, che resta la regola di base. E anche lo “zero-rating” sarà limitato: i consumatori potranno usare certi servizi in offerta speciale senza pagare il traffico ma con un limite ai dati che possono ricevere gratis. Insomma, la discriminazione non sarà il nuovo business delle telco.
Articolo pubblicato su Nòva il 5 giugno 2016