John Maeda, tecnologo e designer, attualmente impegnato con Automattic e docente al MediaLab dell’Mit, crede nella modernizzazione del design. Pensa che le aziende abbiano bisogno di un design non sia solo la disciplina di chi dà forma agli oggetti, magari aggiungendo bellezza alle soluzioni trovate dai tecnici: i designer incarnano la cultura del progetto, per risolvere problemi complessi a partire dalle loro skill fondamentali, che sono l’empatia, il metodo e la conoscenza dei componenti. A loro volta, i designer devono essere all’altezza del compito alimentando la loro sensibilità umanistica, imparando le tecniche del design thinking, studiando le frontiere della tecnologia a partire dal machine learning e dalla scienza dei dati. In effetti, questa capacità di unire i puntini che è il segno distintivo del mestiere del designer, secondo Sigurdur Thorsteinsson, co-fondatore di Design Group Italia, è una competenza che unisce una grande capacità di ascolto con una profonda conoscenza tecnica. E Hartmut Esslinger, fondatore di Frog, uno dei leader del design globale, autore di “A Fine Line. How Design Strategies Are Shaping the Future of Business”, ne testimonia l’importanza avendo vissuto da vicino tutta la vicenda della Apple: è stato chiamato da Steve Jobs per definire il concetto del design della sua azienda fin dai primi anni dell’Apple II, ha visto gli effetti devastanti dell’estromissione di Jobs, è stato tra i consiglieri del co-fondatore quando è stato richiamato a Cupertino e ha assistito attivamente all’epico rilancio di quella impresa. Unendo i puntini, quell’attitudine insieme umanistica e tecnica, oggi deve servire come dice Maeda, ad armonizzare empaticamente l’umano con l’automatico. Si possono salvare i dati dai criminali e dai manipolatori tentando di tappare i buchi man mano che si manifestano, oppure riprogettandone empaticamente l’utilizzo. La sicurezza e la privacy sono anche questione di design.
Articolo pubblicato su Nòva il 25 marzo 2018