La scena del fondatore di Facebook, Mark Zuckerberg, interrogato dai senatori a Washington non è stata un dramma, ma neppure una commedia, e ha segnato l’inizio di una nuova stagione per il social network. Lo scandalo Cambridge Analitica ha dimostrato che Facebook è stata superficiale nella protezione della privacy dei suoi utenti. E, se in America Facebook può sperare di cavarsela così, in Europa dovrà prendere molto sul serio la nuova normativa sulla protezione dei dati personali. Intanto, anche Google, Microsoft, Apple e Amazon, devono prestare più attenzione alle regole che gli stati stanno introducendo per fronteggiare il potere che hanno conquistato.
In effetti, il contesto nel quale operano i giganti digitali americani si sta trasformando. In primo luogo, la Cina è riuscita a far crescere i suoi colossi: sono nati anche grazie al protezionismo locale, ma oggi possono conquistare quote di mercato, soprattutto in Asia. In secondo luogo, come si diceva, l’Unione Europea si fa sentire, operando sui piani dell’antitrust, della riduzione degli spazi per l’elusione fiscale, della protezione dei dati personali che viene innovata radicalmente con l’entrata in vigore della General Data Protection Regulation (GDPR) il prossimo 25 maggio. Infine, lo stesso govero americano non è più così protettivo nei loro confronti.
Ma tutto questo può significare che per Google, Facebook, Apple, Amazon, Microsoft è iniziata una fase di rallentamento? Per adesso, pur tra alti e bassi, la borsa continua a riconoscere a queste aziende capitalizzazioni da capogiro. E la valutazione non cambia di molto quando Google viene costretta a pagare miliardi di multe per abuso di posizione dominante, o quando Apple è condannata a pagare miliardi di tasse in Europa, o quando Amazon deve fronteggiare a sua volta problemi fiscali e dibattiti sui diritti dei lavoratori. La finanza apprezza quelle aziende, capaci di generare profitti giganteschi, perché governano mercati enormi con leadership non soltanto dimensionali ma anche tecnologiche, difficili da scalzare. E del resto non è nel mondo della finanza che si trova una forte concentrazione di persone e organizzazioni che si preoccupano per i diritti umani, le libertà di mercato, la correttezza fiscale, le epidemie di notizie false, la qualità del dibattito democratico e così via.
La riflessione per il futuro degli attuali giganti digitali americani si dovrebbe rivolgere a quello che faranno gli utenti. Sono questi che, di fronte ai presunti abusi di potere dei giganti possono maturare una consapevolezza che li conduca ad abbandonare l’acritica e affezionata adesione alle tecnologie dei colossi digitali. Ma non lo faranno se non troveranno delle alternative. Social network o motori di ricerca che non registrano le informazioni personali, organizzazioni della logistica che non sfruttano troppo i lavoratori, aziende internazionali che non eludono le tasse possono esistere: ma qualcuno le deve fare.
Gli europei non sono stati finora capaci di realizzare piattaforme capaci di competere con quelle americane. Anche perché le imprese del Vecchio Continente hanno sottovalutato troppo a lungo l’argomento. Ma ora, anche grazie alla Gdpr, hanno l’occasione storica per entrare in gioco. E produrre alternative che facciano meglio dei giganti che tanto spesso criticano.
Articolo pubblicato sul Sole 24 Ore il 29 aprile 2018