Il potere dell’algoritmo è uno degli argomenti emergenti di discussione critica sul futuro della società tecnologicamente avanzata. La quantità di interventi e proposte interpretative sulla questione si amplia man mano che l’aspetto algoritmico delle tecnologie si fa più chiaro: non solo nella prospettiva dell’avvento dell’intelligenza artificiale ma anche nelle conseguenze di quanto è già avvenuto con la digitalizzazione. Ed esiste una tendenza interpretativa che sottilinea il rischio che gli algoritmi determinino i comportamenti umani. La connessione causale tra gli algoritmi di Facebook o di Google e la creazione di echo-chamber popolate da aggregati di persone accomunate da punti di vista convenzionali nel quale si chiudono le persone è stata per esempio sottolineata dal libro di Eli Pariser, “Il Filtro” (2012) che ha aperto tutto un filone di discussioni critiche sulle piattaforme dominanti. Ebbene, il nuovo libro di Walter Quattrociocchi e Antonella Vicini – “Liberi di crederci” (Codice 2018) – parte da una visione empirica dei fenomeni che si sviluppano in rete e arriva a proporre un’interpretazione delle distorsioni della conoscenza che ribilancia il giudizio, dando maggiore importanza alle responsabilità umane e meno alle piattaforme tecniche. Per esempio, gli autori mettono in discussione l’ipotesi di Pariser sostenendo che non è empiricamente osservabile. In generale vedono la tecnologia non come una causa ma come un amplificatore delle tendenze. Il narcisismo che sembra pervadere molti comportamenti che si vedono nei social network, per esempio, non è certo causato dalle macchine. Casomai le macchine ne moltiplicano le conseguenze. La chiave di lettura è che che la connessione aumentata dalle macchine in rete favorisce fenomeni che assomigliano a epidemie. Il rimedio possibile è guidato dalla stessa metafora. Le epidemie – comprese quelle delle fake news – si possono contenere. Ma il vero rimedio è quello di favorire la diffusione di anticorpi.
Articolo pubblicato su Nòva il 6 maggio 2018