Il fenomeno è clamoroso. Dove c’è più digitale c’è meno corruzione. La correlazione tra gli indici che servono a valutare la quantità e qualità del ricorso alla tecnologia digitale in un paese – comprese le infrastrutture, le competenze e i servizi pubblici – e gli indicatori statistici del grado di corruzione che affligge un paese è prossima al 90%: un dato statisticamente rilevantissimo. Certo, la correlazione non è la causalità, ma una correlazione di questo livello induce a pensare che migliorando il livello di digitalizzazione della pubblica amministrazione italiana si potrebbero, tra l’altro, ridurre gli spazi per la corruzione. È una delle osservazioni che hanno fruttato a Luca Attias la sua notorietà nel mondo degli informatici pubblici italiani. È una delle sue battaglie, con l’impegno per la valorizzazione del merito e la diffusione della cultura digitale. Ed è uno dei segni rivelatori del suo carattere che Diego Piacentini, l’ex Commissario alla digitalizzazione della Pubblica amministrazione ha visto e apprezzato. Tanto da chiedere proprio ad Attias, allora capo della Direzione generale dei sistemi informativi automatizzati della Corte dei Conti, di sostituirlo.
Attias ha commentato, in un post su Medium, riferendosi al suo predecessore come al «pallone d’oro del digitale italiano» e dichiarandosi intenzionato a tentare al massimo di essere un buon mediano come «il Lele Oriali di Luciano Ligabue». Un buon modo per anticipare le critiche e sopratutto i consigli che gli italiani italiani non lesinano ai loro commissari: quello che guida la nazionale di calcio e quello che coordina la digitalizzazione della pubblica amministrazione.
Minuto, veloce, ironico, appassionato, tecnicamente tanto forte da poter guidare il team di talenti del digitale messo in piedi da Piacentini, Luca Attias ha 53 anni, una gioventù passata tra Monteverde vecchio, Trastevere e Ladispoli, in un periodo e in contesti nei quali lo spaccio e la criminalità costringevano i ragazzi a scegliere tra opzioni di vita molto diverse. Per tenere la direzione occorrevano motivazioni forti: e forse è anche per questo che l’ingegnere Attias si fa guidare soprattutto dai “perché” piuttosto che dai “come”. E non per niente si trova a suo agio in una squadra di persone che Piacentini aveva chiamato “missionari”.
Le motivazioni forti, in effetti, non gli mancano. Come il buon umore. Il 16 ottobre scorso, con il team riunito a salutare il Commissario che partiva e quello che arrivava, ha giocato col predecessore a scambiarsi una campanella che a Palazzo Chigi vuol dire di solito ben altro, ma poi fattosi serio, ha dedicato le sue parole alla memoria degli eventi che 75 anni prima avevano portato alla deportazione degli ebrei di Roma. Sua madre, del resto, si era salvata scappando con una parte della sua famiglia a Velletri. Le ferite di quella tragedia assoluta rendono probabilmente tutto il resto relativo. Compresi i rischi che ha scelto di correre, combattendo la sua battaglia ventennale per spingere la Pubblica amministrazione ad affrontare l’emergenza digitale. «È un’emergenza per quanto riguarda la corruzione, la trasparenza civica, l’efficienza dell’azione pubblica, la qualità della partecipazione dei cittadini alla vita civile».
Laureato alla Sapienza in ingegneria elettronica, ha lavorato per qualche anno alla Datamat, al servizio di progetti internazionali per la realizzazione di tecnologie di controllo in tempo reale nei settori dell’avionica e dei satelliti. Passato alla Corte dei Conti ha portato con sé metodi di gestione privatistici e introdotto sistemi di valorizzazione del merito nella pubblica amministrazione, dimostrando di non farsi spaventare dai compiti difficili. E con la Corte dei Conti ha fatto la sua prima mossa da Commissario, mettendo il suo team a disposizione della magistratura contabile per aiutarla nel suo compito di intervenire sulla spesa e l’efficienza delle pubbliche amministrazioni nazionali e locali anche dal punto di vista della tecnologia informatica: una potentissima arma in più per la battaglia della digitalizzazione. Che sta già dando i suoi frutti per esempio nell’accelerazion delle adesioni dei comuni all’Anagrafe Nazionale Popolazione Residente (Anpr), uno dei progetti fondamentali del team, per il quale si vede la luce in fondo al tunnel. Anche PagoPA ha ormai svoltato. Mentre Spid, il Sistema Pubblico di Identità Digitale, continua a dare problemi di architettura e soprattutto di modello di business per i gestori: deve essere gratuito per i cittadini ma non è privo di costi per gli sviluppatori, sicché lo stato deve accollarsi la spesa, peraltro contenuta. Ci si arriverà, confida Attias. Anche perché lavora 20 ore al giorno per contribuire all’avanzamento del progresso digitale della macchina pubblica. Il suo 2019 sarà così. Poi si vedrà.
L’impostazione strategica è quella approvata ai tempi di Piacentini, con una visione chiara della semplificazione delle infrastrutture fisiche, da concentrare e modernizzare in pochi efficienti datacenter, con un sistema operativo e una infrastruttura immateriale che appunto è in costruzione e un ecosistema di servizi abilitati dalla strutturale interoperabilità delle tecnologie che si vanno costruendo. Tanto che si mantiene la barra dritta per arrivare in qualche anno più vicino alla soluzione chiamata “Io”: un’interfaccia unica del cittadino con tutti i servizi pubblici, per la quale sul suo profilo troverà tutte le interazioni che deve o può sviluppare con la pubblica amministrazione, mentre le strutture burocratiche si connettono in background e risolvono i problemi invece di scaricarli sul cittadino stesso. Un sogno che non è più un’utopia, a quanto pare.
Articolo pubblicato su Nòva il 3 febbraio 2019