La task force di 74 membri istituita dai ministeri dell’Innovazione e della Salute ha lavorato a molti argomenti. Un gruppo di lavoro si è occupato di: «Come gestire la fase 2: far ripartire gradualmente l’economia senza pregiudicare la salute e la sicurezza dei cittadini e prevenendo il rischio di una risorgenza dell’epidemia». I membri della task force coinvolti, tra i quali Giovanni Dosi, Andrea Roventini e Francesca Chiaromonte della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, Mauro Napoletano, Ofce, Sciences Po, Fosca Giannotti, Cnr, Dino Pedreschi Università di Pisa, Paolo Vineis, Imperial College, che hanno sviluppato un’articolata strategia per l’economia territoriale, hanno riflettuto pure sull’orario di lavoro. «La necessità di garantire il distanziamento» per gli esperti suggerisce «una riduzione sostanziale dell’orario di lavoro – con i lavoratori organizzati in turni. Tale riduzione dovrebbe avvenire a salario invariato con un contributo dello Stato (si noti che questo costa meno allo Stato della cassa integrazione a zero ore)».
Il controverso suggerimento ha fatto alzare qualche sopracciglio. Non occorre preoccuparsene troppo, probabilmente. Prima di tutto perché lo stesso gruppo di lavoro termina il suo rapporto con un’apertura al dialogo: «I provvedimenti potranno essere preventivamente discussi con le parti sociali». In secondo luogo perché il rapporto non è espressione delle posizioni del governo. In teoria è il frutto di un’analisi scientifica dei dati messi a disposizione dei membri della task force. E come ogni analisi scientifica può poi essere applicata o meno.
In realtà, nella task force di scientifico c’è soprattutto la pratica di mantenere tutti sotto silenzio. I membri hanno dovuto accettare di firmare un “non disclosure agreement” che impedisce loro di dare informazioni sui dati dei quali sono venuti in possesso lavorando per la task force, ma sono stati messi in condizione di ritenere che il silenzio dovesse estendersi a qualsiasi comunicazione con l’esterno. Il che non è molto scientifico.
La task force è un’idea della ministra Paola Pisano che però aveva probabilmente in mente qualcosa di diverso. In un’intervista al Sole 24 Ore dei primi di marzo suggeriva la possibilità di mettere insieme una decina di scienziati dei dati dedicati a costruire ipotesi di policy fondate sulle informazioni quantitative che il sistema digitale produce in quantità gigantesca. Il contesto dell’epidemia ha indirizzato l’attenzione sui dati sanitari. E dunque è entrato in gioco il ministero della Salute che ha portato un’altra ventina di esperti. A quel punto, però, Leu appariva forse preponderante. Sta di fatto che tutti i partiti della maggioranza hanno voluto i loro membri. E si è arrivati a una quarantina. Infine, visto che si dovevano anche valutare le proposte di applicazioni per il tracciamento, sono arrivati altri specialisti. E il totale è giunto a 74 esperti.
Il loro lavoro silenzioso non ha potuto giovarsi del controllo tra pari che fa della scienza un sistema tanto valido per alimentare la conoscenza. E mentre il rapporto citato era stato terminato il 14 aprile e per la sua comunicazione si è aspettato fine aprile, alla task force sono arrivate sollecitazioni da più parti per una maggiore trasparenza. Compresi alcuni Foia (le domande di informazioni basate sul diritto a sapere che cosa succede negli organismi pubblici) restati senza risposto per la sospensione dell’obbligo decisa con un recente decreto legge. Il che è coerente con la segretezza di altre elaborazioni, comprese alcune di quelle del Comitato Tecnico Scientifico, che a differenza di questa task force, prende grosse decisioni. Ma la scienza è trasparente, o non è.
Articolo pubblicato sul Sole 24 Ore il 6 maggio 2020