Domenica 18 luglio 2021, Nòva ha pubblicato un articolo sul decreto che avvia la sperimentazione del voto elettronico per le elezioni in Italia nella rubrica Crossroads (seguendo il link si trova l’articolo originale e le prime risposte pervenute). Sono emersi i problemi che il sistema potrebbe incontrare. Oggi pubblichiamo un articolo scritto per Nòva dall’Onorevole Giuseppe Brescia, presidente della commissioni Affari Costituzionali della Camera:
Con l’adozione del decreto attuativo a firma dei ministri Lamorgese e Colao è stata concretamente tracciata la strada per la sperimentazione del voto elettronico nel nostro Paese ed è ripartito il dibattito, a tratti quasi apocalittico, su questa innovazione.
Diversi Paesi nel mondo l’hanno già sperimentata, alcuni con successo, altri meno, ed è tempo di lavorare a un modello italiano facoltativo e non obbligatorio, utile per 7,5 milioni di cittadini tra studenti e lavoratori fuorisede e italiani all’estero spesso ostacolati a una piena partecipazione elettorale.
Alla Camera tutte le forze politiche hanno fatto ogni sforzo per facilitare il voto alle prossime comunali e regionali di tanti cittadini, soprattutto giovani, che vivono lontano dal luogo di residenza. Le oggettive difficoltà tecniche dei cambiamenti nell’ “analogico” segnalati anche dal Viminale hanno di fatto lasciato aperta la sola strada digitale ed è una strada che va percorsa visto che il diritto di voto dei cittadini in mobilità in una società che ormai si sposta a prescindere dalla propria residenza rappresenterà una questione del nostro tempo.
Fino ad oggi lo Stato la affronta con agevolazioni di viaggio parziali e dal 2004 a oggi ha speso più di 60 milioni di euro in questa direzione. Risorse che ci sembrano uno spreco perché non investite in innovazione.
A livello tecnologico il voto elettronico, sia esso al seggio col tablet o su web app, si inserirà in un ecosistema faticosamente messo in piedi in questi anni, ma ormai diventato realtà e lo potenzierà. Il passaggio all’anagrafe digitale è completato in quasi tutti i comuni, sono state attivate più di 22 milioni di carte d’identità elettroniche e altrettante sono le identità Spid erogate.
Sono convinto che più in generale, tutto il procedimento elettorale, non solo il momento del voto, dovrebbe essere reingegnerizzato in chiave digitale, anche in funzione di una seria dematerializzazione, passando a registri e verbali di seggio elettronici in luogo di quelli cartacei.
C’è dunque una transizione digitale da avviare, non semplice a livello burocratico, come dimostra lo stop alla mia proposta di abolire le file al Viminale attraverso la presentazione online di simboli e programmi, ridimensionata in una meno avventurosa fila con chiavetta Usb e simboli e programmi in pdf.
Parallelamente c’è poi una scommessa culturale da fare, abbandonando pregiudizi, stereotipi e sfiducia verso lo Stato innovatore e affidandoci alla scienza e al risultato della sperimentazione.
Chi con legittime ragioni si oppone al voto digitale è lo stesso che esalta i pagamenti via app, si entusiasma per i concorsi digitali e per gli elimina code online e osanna, come me, la firma elettronica per i referendum. Nel frattempo dimentica che col voto elettronico nel nostro Paese si eleggono, senza problemi e contestazioni, i rappresentanti degli ordini di medici e avvocati e anche l’ordine dei giornalisti ha approvato un regolamento sul voto telematico.
Come spesso accade in tema di diritti, la società è insomma molto più avanti delle istituzioni e dietro queste critiche al voto elettronico si nasconde forse una condanna a non colmare questo gap, nel nome anche di un consolidato settarismo nerd che a volte si oppone al cambiamento soltanto perché non proposto dalla cerchia.
Del resto l’OSCE, che osserva le elezioni in quasi 60 Paesi, non ostacola il voto elettronico, ma ha già fornito da anni orientamenti e linee guida sulle nuove tecnologie di voto. (OSCE)
I tanti allarmi sul voto digitale, brogli inclusi, mi ricordano le vane e interminabili ore d’ansia per il millennium bug alla vigilia del 2000. È con questo precedente che dovrà fare i conti una classe di intellettuali ed esperti, ricordando che da quest’innovazione dipendono procedure di scrutinio più veloci e il concreto esercizio del diritto di voto di milioni di cittadini.
Chi ha proposto questa sperimentazione non vuole truccare né le elezioni, né soprattutto le simulazioni. Ha semplicemente preso atto di un problema, che forse interessa pochi, e ha dato un input politico, molto definito, a un processo affidato ora a tecnici, non meno capaci di chi gode di buona stampa, e a seri referenti istituzionali come i ministri Lamorgese e Colao.
Un emendamento a una legge di bilancio e un decreto interministeriale non cambiano la Costituzione. Anche il voto digitale dovrà essere personale ed eguale, libero e segreto e, come ogni cambiamento, richiederà fiducia, adesione e adattamento. Una sfida conoscitiva che obbligherà un po’ tutti a confrontarsi non con le proprie convinzioni, ma con la prova dei fatti e con le esperienze di Paesi da noi non lontani.
Giuseppe Brescia
Presidente della commissione Affari Costituzionali della Camera
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Nel ringraziare l’Onorevole Brescia ci domandiamo: che cosa succede adesso?
Sappiamo che una task force che ha lavorato senza verbalizzare le riunioni ha scritto le linee guida per la sperimentazione. Un decreto del ministro dell’Interno di concerto con il ministro per l’Innovazione ha dato il via alla sperimentazione, ma dicendo che prima va fatta una simulazione.
Ora si deve fare il documento che specifica come fare la simulazione. Che cosa ci sarà in quel documento? Il capitolato che chiarisce come costruire il sistema e come verrà fatta la simulazione.
Dovrà per esempio chiarire come si fa il comitato di controllo indipendente sul sistema informatico, il codice sorgente, l’hardware, il software, prima durante e dopo le elezioni. Dovrà stabilire come è formato il comitato di controllo: sarà di nomina governativa o prevederà la presenza di tutti i partiti che partecipano alla competizione elettorale?
Ma poiché questo sistema – a tendere – potrà riguardare 7.5 milioni di persone, occorre tener presente che il voto elettronico con la app via internet rende impossibile il riconteggio delle schede e facilita il voto di scambio. Su questo non sono emerse risposte e i problemi rimangono.
Occorre anche decidere quali sono i risultati che la simulazione e la sperimentazione devono raggiungere perché il sistema diventi stabile. Si prenderà in considerazione anche il problema di rispondere appunto alla mancanza della possibilità di riconteggio e al rischio del voto di scambio? Quali potranno mai essere i risultati che consentono di giudicare superata la fase di simulazione e sperimentazione? Se quei risultati dovessero dimostrare che è impossibile impedire una proliferazione del voto di scambio se si può votare con il telefono in mano di fronte a chicchessia, l’esito della simulazione potrebbe convincere le autorità che è meglio fare votare con un computer nel seggio elettorale fisico (anche in una città diversa da quella di residenza) magari con l’aggiunta di una stampante che manda la scheda nell’urna per il riconteggio.
Il documento dell’Ocse citato dall’onorevole Brescia, peraltro, sottolinea queste preoccupazioni..
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