Articolo pubblicato su Nòva, Il Sole 24 Ore, domenica 9 aprile 2023 – primo articolo di una serie
Oscar Wilde non scherzava sempre, ma mai rinunciava all’anticonformismo: «Il progresso è la realizzazione di Utopie». Tra queste, nel XXI secolo, riemerge il nome di quella immaginata da Tommaso Campanella: nella versione contemporanea della “città del sole” la stessa luce illumina sia le menti dei cittadini che i loro pannelli fotovoltaici. E indica una strada di progresso che non è soltanto filosofico, non è meramente tecnologico, non è puramente economico: è tutto insieme perché la sfida è integralmente ecologica. Le finestre su un futuro di questo genere si moltiplicano nel mondo. Tra le molte civiltà che le stanno esprimendo si può cercare qualche tratto in comune?
L’impressione è che la concentrazione sui progetti delle smart city stia lasciando il posto, appunto, a una focalizzazione sulle “ecocity”: l’innovazione spinta dai produttori di tecnologia non basta se non è al servizio degli obiettivi dell’emergenza climatica e della polarizzazione sociale. Forse il simbolo di questo passaggio è stata la rinuncia di Toronto al progetto Sidewalk proposto da Google sul lungolago: avrebbe creato un quartiere guidato dai dati e armonizzato dai servizi digitali ma dominato dalle troppe telecamere del “capitalismo della sorveglianza”. Così Toronto ha cercato un’alternativa, fondata su una progettualità più distribuita, più spontanea, più partecipata. Ma con molta innovazione: grattacieli di legno, veicoli autonomi, protezione dei dati personali.
Sensibilità che accomunano molti progetti, ma non tutti. Perché le diverse civiltà sentono in modo diverso le relazioni tra le persone e il loro ambiente, tra il vertice e la base della piramide decisionale. Con Neom la dinastia saudita vuole costruire la sua versione della nuova frontiera. Altri immaginano che l’utopia sia in Cina con l’idea di sviluppo armonico a guidare le scelte del sistema centrale che governa ogni dettaglio dell’enorme paese. E molti cercano ancora le risposte in Occidente, sperando che dell’utopia faccia ancora parte la democrazia. La diversità strutturale dei progetti è un connotato originale dell’utopia contemporanea. È una ricchezza, purché alla fine ci sia un punto di incontro. Che gli umani descrivono con un concetto più ripetuto che raggiunto: sostenibilità.
Le città consumano il 65% dell’energia e generano il 70% delle emissioni di CO2 del mondo, ricorda la Commissione Europea. La questione è enormemente complessa. Mentre i grandi paesi asiatici cercano di lanciare progetti di vasta portata simbolica, l’Europa sviluppa la sua strategia urbana per piccoli passi distribuiti equamente. La Commissione Europea ha dedicato una delle sue Missioni a trasformare cento città perché diventino smart e neutrali dal punto di vista climatico entro il 2030: la questione riguarda le tecniche costruttive, l’energia, lo sviluppo di gemelli digitali delle città, i trasporti, i sistemi di deliberazione e la partecipazione dei cittadini, il verde urbano e così via. In questi giorni si stanno chiudendo diverse call destinate a finanziare progetti in questo ambito con 110 milioni di euro. I piccoli passi concreti vanno bene, ma dovranno essere molto numerosi. E dovranno articolare un visione più incisiva se le cento città dovranno poi essere emulate da tutte le altre città europee.
Ma non servirà anche un cambio di paradigma nell’idea di sviluppo? Philippe Bihouix, direttore generale dell’Arep, la più grande agenzia di architettura di Francia, ha scritto con Sophie Jeantet e Clémence De Selva, un libro intitolato come un programma: “La ville stationnarie” (Domaine du Possible 2022). È convinto che le città non siano fatte per la crescita infinita. La loro insaziabile sete di risorse si confronta con chiarissimi limiti territoriali. Propone di stabilizzare la dimensione delle città e concentrare le risorse sul loro miglioramento qualitativo, senza rallentare l’economia.
Va oltre Mario Cucinella, architetto globale, specialista di progetti sostenibili. Cucinella vede tutti i più grandi progetti del mondo. Partecipa ad alcuni. Racconta con lo stupore magistrale dell’eterno ricercatore. Consapevole della complessità, sconfina dai problemi dell’accesso all’acqua alle conseguenze urbanistiche dello smartworking, dalla sfida del turismo alla scarsità dei materiali, dalle soluzioni digitali alle prospettive di crescita dei giovani. La sua ultima scoperta è nata a Chongqing. Una città enorme. Con un’incredibile densità abitativa. Grattacieli residenziali come in poche altre città. Ma quello che colpisce è il lavorio che si svolge al piano della strada. «Altro che città dei 15 minuti. Qui ci si occupa dei dieci metri. In questa foresta tropicale di cemento, in strada si piantano alberi grandi, si creano passerelle per i pedoni, si investe nelle finiture delle pavimentazioni, si migliora l’accesso ai negozi, si sviluppano i musei sulla strada, si riducono le automobili». Un lavorio artigiano per migliorare la qualità della vita quotidiana. «Il futuro è riconquistarci la nostra città. Le cose più semplici sono le più difficili».
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