Tempi ibridi

In vista del 
Workshop sull'impresa sociale, previsto per il 16 e 17 settembre a Riva del Garda, ripropongo un pezzo pubblicato su Nòva nel maggio scorso. Il titolo era appunto "Tempi ibridi. Se le nuove aziende sono social network".

Ci sono le auto ibride. Ma forse esistono anche le aziende ibride: sono
quelle che mentre viaggiano accumulano energia sicché riescono a fare
parte di lavoro senza consumare benzina, cioè soldi. La loro cultura
aziendale è insieme competitiva e collaborativa. La loro spinta
innovativa viene da un motore imprenditoriale e finanziario cui si
aggiunge la forza che deriva dalla motivazione alla partecipazione nel
progetto aziendale che si sviluppa grazie a una positiva dinamica tra i
collaboratori. In fondo, è sempre stato così. Ma oggi il motore
innovativo delle reti sociali può essere progettato cogliendo le
opportunità offerte dai media digitali.

Le intranet, come tutto
su internet, evolvono rapidamente. In che direzione? Le risposte basate
sul mero dispiegamento di tecnologie non si sono rivelate molto
produttive, come sanno i gestori di intranet piene di contenuti ma
povere di utenti. Del resto, il semplice broadcast delle notizie
aziendali spesso basato sulle priorità dei responsabili delle risorse
umane, non si è rivelato la metafora vincente per la collaborazione.
Perché resta una questione strutturale: è possibile conciliare la forma
gerarchica del sistema decisionale con la dinamica paritaria che
sottende le pratiche di condivisione delle idee personali nelle reti
sociali?

Manuel Castells, sociologo e autore di una monumentale
ricerca sulla dinamica delle reti, osserva come le logiche dei network
generino un ridimensionamento delle strutture gerarchiche. E Yochai
Benkler, economista a Harvard, dimostra come la dimensione delle reti
sociali abbia un'ineludibile influenza sulla creazione di valore
nell'economia della conoscenza. Del resto, Don Tapscott ha registrato,
nel suo Wikinomics, i casi esemplari delle pratiche di "collaborazione
di massa". Insomma: le culture d'impresa che si sviluppano in progetti
comuni e si realizzano con il contributo di ciascuno sono al centro
dell'attenzione teorica. La traduzione operativa dipende molto dal
design degli strumenti pensati per favorirla. Si intravedono almeno
due modelli, non alternativi, che integrano quelli tradizionali. Il
primo è una sorta di wikinomics aziendale: i collaboratori mettono in
comune ciò che sanno, in nome di un progetto comune coinvolgente. Il
secondo, ispirato dagli ormai classici studi di Charles Handy, si
potrebbe chiamare facebookvalue: ciascuno ci mette la sua faccia e il
suo nome, lancia progetti e condivide conoscenze, coinvolgendo non solo
colleghi ma anche partner esterni.

Se ne occupano, per esempio,
all'Unicredit. La banca è cresciuta: è ormai presente di più di venti
paesi e parla diverse lingue, oltre a dover lavorare in diversi
contesti economici e istituzionali. Sul coordinamento si gioca molto
del suo successo futuro. I casi segnalati nelle pagine interne di
questa storia di copertina mostrano come il design equilibrato delle
intranet arrivi a risultati tangibili. Come segnala Giacomo Mason,
esperto di intranet, la Sabre ha risparmiato mezzo milione di dollari
in un anno grazie ai microblog di domande e risposte. L'American
Electric Power ha risparmiato 8 milioni di dollari in cinque mesi col
crowdsourcing interno. La Gabetti: con un wiki ha risparmiato quattro
mesi di lavoro per la revisione delle procedure.

Le intranet sono
ormai a pieno titolo parte delle strategie per il miglioramento della
produttività. La capacità delle aziende di articolare i progetti sui
quali hanno bisogno che si concentri la partecipazione dei
collaboratori, trasforma il potere in leadership. Il cui successo
dipende da un mix di incentivi economici e sociali: denaro, prestigio e
soddisfazione intellettuale.

Il design delle intranet non può
essere pensato solo in base alla tecnologia. Il loro utilizzo non può
essere imposto. Va progettato perché sia adottato. Da chi conosca gli
strumenti, abbia ruoli operativi, sia consapevole delle dinamiche delle
relazioni personali. La fusione di cultura tecnica e umanistica non è
una teoria. È una pratica. Per tempi ibridi.