Cagliari: dall'industria alla creatività

Scrivo da un posto nel centro di Cagliari dove c’era una manifattura di sigari e sigarette. Per anni, dopo la chiusura, non c’è stato nulla. Ora c’è un’idea.

E oggi, al convegno Dismissioni creative, si è scoperto che un’idea così si può mangiare. Se è pensata bene.

Esperienze da tutta Europa per dimostrare che uno spazio pubblico che non serve più alla sua destinazione originaria e che viene popolato da persone che fanno, con approccio "imprenditoriale", un’attività creativa, può diventare una ricchezza immensa per una città.

Ho imparato molto da tutti questi casi internazionali e italiani. Ma ho capito che c’è un argomento di discussione particolarmente delicato. Che cosa devono fare le autorità poliche in materia? Primo, non devono dare soldi alle iniziative creative: devono consentire ai creativi l’utilizzo libero e innovativo degli spazi pubblici dismessi, casomai investire sulle infrastrutture e la sicurezza degli edifici, stabilire regole chiare e trasparenti per l’accesso a questi spazi, non intervenire sui contenuti. Perché i creativi se la possono cavare con il problema di garantire economicità alle loro attività: in fondo quello che fanno ha un grande valore, non costa necessariamente molto e può addirittura diventare una ricchezza davvero significativa. (Ma questo è un tema di mercato dell’arte che non è oggetto di questo post).

In realtà, il problema economico non è il più difficile per i creativi. Il loro tema vero è la creazione: a quella dedicano la vita. Già più complesso è trovare dei luoghi che li accolgano e che li attirino. Che abbiano un sapore insieme locale e internazionale. Che costituiscano piattaforme di lancio vere e accessibili per la loro opera. Il messaggio, da Cagliari, è chiaro in proposito: forse, nell’epoca industriale, il tema più importante era quello economico; oggi, entrando nell’era della conoscenza, il tema più importante è quello culturale.

Ma se l’amministrazione deve garantire piattaforme accessibili per i creativi, anche la politica può fare qualcosa: costruire una visione (capace di diventare condivisa ma che parte necessariamente da una rottura con il passato se il passato era incapace di creatività; il che è l’esperienza che in Sardegna sta vivendo un grande visionario come Renato Soru). Una visione che porti l’insieme delle componenti della società alla consapevolezza del futuro che si va costruendo. Questo è un compito decisivo. Non costa niente. E’ un’idea. Anch’essa creativa. Ma un’idea che, se pensata bene, si può mangiare.