Taleb: la crisi era un cigno bianco

Nassim Taleb dice che la crisi era un cigno bianco, quindi non doveva prendere nessuno di sorpresa. E invece… Il suo metodo peraltro ha funzionato. Dice Bloomberg che chi ha investito seguendo la sua strategia ha guadagnato il 50% quest’anno… Nòva ha parlato di lui qualche tempo fa…

Questo era il mio pezzo:

L’improbabile è necessario. Ma è necessariamente improbabile riuscire a
imbrigliarlo in una logica, in un meccanismo, in un gioco di interessi.
Ha a che fare con l’innovazione: sempre se è radicale, spesso se è
evolutiva. Ne è una componente o un’opportunità, ma ovviamente non si
genera con i metodi della pianificazione manageriale perché viene da
fatti e pensieri inattesi, talvolta folli o semplicemente gratuiti:
casomai occorre organizzarsi per navigare nell’improbabile e gestire
creativamente le sorprese.
A posteriori se ne cerca la ragione. E
spesso se ne trovano troppe. Ma in fondo il tema è chiaro: aprire la
cultura all’improbabile può aiutarla a rinnovarsi, specie in un’epoca
nella quale le idee convenzionali sembrano generare soltanto pessimismo.
Non è la fine della storia. Niente lo è mai. Perché, oggi più che in
altre epoche, anche il racconto dell’improbabile – un’altra
declinazione della complessità – può servire, in un certo senso, a
soddisfare un bisogno primario: quello di interpretare il presente.
Ne consegue l’esigenza di costruire una visione, una prospettiva. E
dalla ricerca degli storici, in collaborazione con gli epistemologi,
emergono gli strumenti essenziali per la costruzione della prospettiva.
L’epistemologia è riuscita spesso ad anticipare l’evoluzione del metodo
con il quale si arricchisce la conoscenza. Anche se ci vuole ben altro
per incidere sulle convinzioni abituali della popolazione umana. L’eco
dei pensieri di giganti come Karl Popper e Thomas Kuhn, con le loro
ricerche sulle dinamiche della cultura scientifica, si ode molto
vagamente nei dibattiti che catturano l’attenzione quotidiana.
Raramente si dichiara la propria consapevolezza del fatto che le teorie
con le quali spieghiamo il mondo non sono verificabili ma solo
falsificabili.
Un
po’ più spesso, ma non abbastanza, si discute del quadro interpretativo
con il quale leggiamo la realtà facendo riferimento ai paradigmi che
definiscono le diverse visioni del mondo. Ma come dimostrano mille
esperimenti, anche gli specialisti cadono spesso nella tentazione di
decidere in base a quella che Daniel Kahneman chiama intuizione (cioè
la prima cosa che viene in mente) e non a partire da un ragionamento
controllato. Per questo il divertente contributo di Nassim Nicholas Taleb
è tanto utile: perché nel denunciare l’irrazionalità di molte
convenzioni interpretative, dimostra come il nostro tempo sia investito
da cambiamenti decisivi: oggi, più che mai, è interessante denunciare
la sopravalutazione del probabile e sottolineare la centralità
culturale dell’improbabile.
Ma tra gli atteggiamenti culturali
sopravalutati non c’è solo il probabile. C’è anche, per esempio, l’idea
inflazionata di "novità". In un periodo storico schiacciato su un
iper-presente che sembra offrire la perfetta accessibilità a ogni
elemento del sapere, nascondendone però la genealogia culturale, il
senso della prospettiva appare appannato e molte forme espressive si
candidano al ruolo di "novità" e di "innovazione" anche se in realtà
hanno precedenti e origini molto antiche.
Per questo, il contributo di Taleb
può essere visto come un segnale importante per comprendere il momento
presente, ma non va preso troppo alla lettera. Specialmente quando
propone l’abbandono dell’idea dell’interpretazione e della pratica
della narrazione.
In questo, aiuta la classica tripartizione delle
dimensioni del tempo sociale proposta dallo storico Fernand Braudel: la
lunga durata delle strutture, la media durata delle mode e delle
congiunture, la breve durata dei fatti. Per costruire una prospettiva
adatta a guardare al futuro, come sostiene Taleb,
non ci possiamo accontentare di ricordare i fatti del passato, perché
quelli futuri ci sorprenderanno proprio nei momenti topici.
Ma
non ci possiamo neppure dimenticare i fenomeni storici che, per la loro
durata più ampia, sono destinati a proiettare le loro conseguenze anche
nel futuro. Sono in particolare i quadri interpretativi fondamentali.
Quelli che, appunto Kuhn, ha definito paradigmi. I loro cambiamenti
sono rarissimi: tanto che quando avvengono si accompagnano a una
quantità di fatti inattesi che colgono sempre impreparate le società e
le culture.
Molti segni ci indicano che l’Occidente stia vivendo un
cambio di paradigma, in questi decenni di superamento
dell’organizzazione gerarchicamente fondata sull’industria di massa per
passare alla rete sulla quale si sviluppa l’economia della conoscenza;
un passaggio anticipato dalla critica post-moderna delle grandi
narrazioni ottocentesche ma che ancora cerca una sua nuova narrazione.
E la narrazione anti-narrativa di Taleb ne è
un possibile elemento. Certamente, l’affresco ironicamente proposto nel
paginone di questo numero di Nòva non è sufficiente a dire come
l’imprevisto governi il nostro mondo, almeno tanto quanto l’ovvio. E
che al l’innovazione è necessaria la consapevolezza dell’apertura al
l’improbabile quanto la responsabilità dell’elaborazione della
narrazione che conduce a realizzarlo. Ma è un gioco che serve a
ricordarlo.

E questo era il pezzo di Guido Romeo:

«È difficilissimo fare previsioni, soprattutto riguardo al futuro»,
osservava Yogi Berra, grande campione di baseball e filosofo amante
delle frasi a effetto. Sembra un gioco di parole, ma Berra tocca uno
dei nervi scoperti più attuali della nostra interpretazione del mondo,
perché oggi l’imprevisto si afferma sempre più come la componente più
influente nella costruzione del nostro futuro, sia negli aspetti
materiali come quelli tecnologici, sia nello sviluppo del pensiero e
della conoscenza.
«Oggi viviamo in un mondo estremamente diverso da
quello nel quale la nostra specie si è evoluta e che sostanzialmente
non capiamo nelle sue interrelazioni» avverte Nicholas Nassim Taleb, autore de «Il Cigno nero, come l’imponderabile governa la nostra vita». Dopo una carriera di successo come trader di Borsa, Taleb,
libanese educato in Francia e Stati Uniti, oggi si definisce un
filosofo dell’incertezza. I cigni neri, scoperti solo nel 1790 con
l’esplorazione dell’Australia, sono uno degli esempi più eclatanti di
quella che Taleb chiama la «fallacia
narrativa» con la quale ci autoinganniamo in moltissimi campi,
dall’economia alle scienze sperimentali. Più semplicemente, solo perché
per millenni siamo stati abituati a vedere esclusivamente cigni dalle
piume candide, non è detto che non possano esisterne di neri come la
pece. Anzi, l’avvistamento di un singolo uccello nero da solo vale di
più di mille stormi bianchi perché fa cadere un intero sistema di
certezze. Nel linguaggio di scienziati e pensatori, un cigno nero è
perciò il verificarsi di un evento improbabile, ai limiti della nostra
immaginazione e per questo spesso escluso dagli scenari di previsione.
Il suo manifestarsi è però sconvolgente, allo stesso tempo distruttivo
e rivoluzionario.
L’esempio più recente, e negativo, è l’attentato
dell’11 settembre alle torri gemelle del Wtc di New York, e prima di
esso lo è stato lo scoppio della Prima guerra mondiale. Ma la storia è
per fortuna altrettanto ricca di cigni neri positivi. Dall’avvento
dell’homo sapiens alla scoperta dell’America, nel 1492, alla macchina a
vapore. Fino alla creazione di internet, una rete telematica pensata
come strumento di sicurezza nazionale e divenuta invece, in pochi anni,
il più formidabile strumento di interazione globale.
L’imprevedibilità dei cigni neri contiene perciò anche un’importante
lezione filosofica. È proprio dall’inatteso che originano spesso le
innovazioni e i progressi più importanti. Un processo che ha moltissimi
punti in comune con le dinamiche emergenti della teoria del caos e
della complessità, ed è in un momento storico come quello attuale, nel
quale aumentano gli echi di un declino imminente sia nazionale sia
mondiale, di un’involuzione di valori e di pensieri, che
l’imprevedibilità diventa anche una grande speranza. Anzi una
necessità. «Oggi per fortuna cominciamo a individuare alcune strutture
ricorrenti di questo mondo imprevedibile – osserva Taleb,
che venerdì 5 settembre parteciperà al Festival della Letteratura di
Mantova –. I nostri antenati, ad esempio, si sono evoluti in un
territorio che potremmo chiamare "Mediocristan", un mondo dominato
dalla probabilità gaussiana, nel quale gli eventi rari pesano
pochissimo e sono perciò relegati nelle parti più sottili e distanti
delle code della tipica curva a campana. Oggi invece siamo sempre più
spesso costretti a muoverci in un "Estremistan", un territorio
fortemente connotato dalla tecnologia, nel quale i cigni neri
abbondano». L’Estremistan è un nuovo continente dominato dalle regole
della complessità, mondo caotico ma superefficiente, dove chi vince
guadagna moltissimo e chi perde spesso rimane senza nulla. I suoi
abitanti più tipici sono personaggi come Steve Jobs e Bill Gates. «Qui
gli eventi imprevisti possono avere impatti esponenziali – osserva Taleb – perché non ci sono ridondanze che si oppongano al colpo d’ala del cigno nero… Nel bene e nel male».
L’impatto e l’importanza dell’inatteso era già stato intuito e
descritto da Karl Popper, che ha messo al centro del suo metodo la
falsificabilità delle teorie scientifiche. Ma anche di Thomas S. Kuhn,
che parlando di sviluppi scientifici «rivoluzionari», indicava
l’introduzione di concetti che cambiano il nostro modo di conoscere. Ma
se l’imprevisto è la chiave del progresso, come si aumenta la frequenza
di quei cigni neri positivi tanto ambiti come le scoperte o le
invenzioni?
«Generare a tavolino l’imprevisto è impossibile per definizione – osserva Taleb
–, ma si può sviluppare una società e una cultura capace di
accoglierlo». Gli Usa, ad esempio, sono certamente tra i Paesi più
aperti al fallimento e quindi capaci di rinnovarsi rapidamente. Delle
500 aziende che apparivano nella Fortune 500 nel 1957, 40 anni dopo
appena 74 erano ancora presenti e molti dei nuovi giganti solo pochi
anni prima erano «garage ideas». Il Giappone, invece, è all’estremo
opposto, chiuso in gerarchie e convenzioni con radici secolari.
L’Italia, sempre più accusata di immobilismo e scarsa propensione al
cambiamento, paradossalmente non sfigura. «L’Italia corre meno rischi
rispetto all’Arabia Saudita o alla Siria, dittature che a prima vista
non appaiono volatili – osserva Taleb
perché è in grado di convivere con una grande instabilità e quindi è in
grado di adattarsi rapidamente a condizioni anche molto diverse». Il
modo migliore per moltiplicare quegli "accidenti" positivi è però il
«probare et riprobare» già proposto quattro secoli fa da Galileo. «Oggi
i più efficaci in questo nuovo empirismo sono agenzie militari come la
Darpa statunitense – osserva Taleb – perché producono moltissimi effetti collaterali positivi, come è avvenuto per laser e chemioterapia».
La ricerca dell’imprevisto è ad altissimo rischio, ma cresce il numero
di adepti. L’Nih statunitense ha deciso di dedicare una percentuale
crescente del suo budget alla ricerca di frontiera; lo European
Research Council dei progetti senza precedenti ha fatto il suo cavallo
di battaglia; e perfino istituzioni private come la Fondazione Bill
& Melinda Gates guardano agli approcci non convenzionali come
possibile fonte di cure per malaria e Tbc. La strada verso questi
traguardi non è però facile.
Affidarsi ai supercomputer, in grado
di macinare milioni di miliardi di dati, non è però la strada per
stanare i cigni neri più preziosi. Spesso i ricercatori tendono infatti
a non riportare i fallimenti e i dati negativi creando di fatto un
vizio già in partenza. Taleb, memore della
sua esperienza di trader che deve agire in un mondo dominato
dall’incertezza, sta cercando di trovare un metodo per aiutare la
scelta in assenza di predittibilità e come editor dell’«International
Journal of Forecasting» ha già lanciato una «call for papers» per studi
sul tema. «Per ora ci sono pochissime buone idee, tutti si concentrano
ancora su come predire meglio – osserva –, dobbiamo invece ribaltare la
questione, distinguendo su cosa sia prevedibile e cosa no. Credo che le
intuizioni migliori arriveranno non dall’ambiente accademico, ma dalla
Borsa, dall’industria e magari anche dal web». Un consiglio pratico per
muoversi nell’Estremistan? «Mai accettare un consiglio da chi indossa
la cravatta. Perché tendereste a pensare che ne sappia più di voi su
una materia e che perciò sappia predire l’impossibile. Mentre quasi
sicuramente ne sa esattamente quanto la prima persona scelta a caso per
strada».