Colloquio con Julien Assange, pubblicato su Nòva giovedì scorso, prima dell'enorme esplosione di attenzione su Wikileaks dovuta alla pubblicazione del dossier afghano.
«Diversi
giornali italiani hanno preso contatto con Wikileaks per pubblicare le
notizie che dovessero diventare proibite». Lo racconta, a Nòva, Julian
Assange, capo di Wikileaks, ospite a sorpresa dell'edizione 2010 di
TedGlobal. I suoi capelli quasi completamente bianchi contrastano con
il viso da trentanovenne. Parla sottovoce, Assange, sembra sempre
temere di essere ascoltato da orecchi indiscreti. E non nega di
sentirsi sotto controllo nel Regno Unito. Qualche ragione ce l'ha:
anche nei paesi che insegnano al resto del mondo le virtù della libertà
di espressione e di stampa, non mancano i segreti di stato e le
informazioni riservate delle aziende o delle banche.
E Wikileaks, come
dice il nome, è un sito collaborativo al quale chi vuole può mandare
documenti altrimenti destinati a restare segreti. Solo documenti. Ma
anche molto pesanti. Lo staff prevalentemente di volontari di Wikileaks
fa una verifica e poi pubblica. Qualunque cosa: conti che non tornano
nelle banche, operazioni coperte di politici e diplomatici, violenze,
persino un video preso da un elicottero militare che mostra i soldati
che sparano a freddo contro persone in abiti civili che si radunano in
una piazza irachena. «No, non pubblichiamo qualsiasi cosa: prima
valutiamo con i nostri mezzi che il documento non sia falso, poi
tentiamo anche di avere una verifica sulla qualità del contenuto del
documento. Inoltre» aggiunge Assange «non pensiamo che tutto debba
essere noto: le condizioni sanitarie delle persone dovrebbero per
esempio restare un fatto privato».
Wikileaks
può essere davvero scomoda per le organizzazioni dalle quali escono
documenti segreti. Anche perché il sito è organizzato in modo tale da
coprire con molta efficacia le fonti dei documenti.
Finanziato
essenzialmente con donazioni, per quanto se ne sa, Wikileaks sta
diventando il sito paladino della libertà di stampa nei paesi che non
ne hanno troppa. Anche perché certe volte riesce a provocare
conseguenze politiche di primaria importanza. Un documento pubblicato a
pochi giorni dalle elezioni in Kenya è riuscito, a quanto dice Assange,
a spostare almeno il 10% dei voti. E un altro documento ha inchiodato
alle sue responsabilità una banca islandese, il che ha contribuito a
provocare da un lato la profondissima crisi finanziaria del paese
nordico, dall'altro lato la reazione della classe politica locale che,
per ritrovare credibilità, ha approvato all'unanimità una nuova legge
che garantisce la totale impunità ai giornalisti che facciano emergere
le notizie anche quando sono molto scomode.
«Abbiamo partecipato alla
stesura di quella legge che fa dell'Islanda una punta avanzata della
libertà di informazione nel mondo. E abbiamo provocato una reazione
immediata al Parlamento europeo, che ha a sua volta approvato una
mozione tesa a portare a tutto il continente i principi della legge
islandese. Se anche l'Italia dovesse ridurre la libertà di stampa, le
leggi europee, la tecnologia internettiana, le opportunità offerte da
piattaforme come Wikileaks, manterranno sempre aperta una finestra per
l'emergere di verità meno ufficiali».
Questo è quanto era uscito su Nòva. E questo è l'intervento di Assange a Ted, un paio di settimane fa: