L'Europa diventa venture capitalist

Proprio in questi giorni di fine settimana, gli stati europei si interrogano intorno al progetto della Commissione europea di cominciare a operare nel venture capital, investendo direttamente in startup e piccole imprese innovative. In vista del prossimo programma quadro, viene lanciato uno schema pilota per testare questa policy. Nel progetto in discussione, chiamato “Enhanced European Innovation Council Pilot”, la Commissione si dota tra l’altro di un fondo da 100 milioni di euro da affidare a un neo-istituito Special Purpose Vehicle, per compiere investimenti nel capitale di imprese che sviluppano tecnologie radicalmente innovative, quindi a elevato rischio, ma potenzialmemente capaci di crescere velocemente. Questo si affianca ad altri strumenti di finanziamento dei progetti di ricerca e di impresa che hanno un forte potenziale che restano nella forma del “grant”, senza cioè prevedere l’entrata nel capitale. La misura di contesto è quella che istituisce lo European Innovation Council e lo dota di un miliardo all’anno. La Commissione motiva la scelta di diventare azionista delle imprese ad alto potenziale sostenendo che altrimenti lo possono fare i fondi di altri paesi, da Israele agli Usa e alla Cina, senza che l’Europa, che con i suoi finanziamenti rende possibile la nascita di quelle imprese, ne tragga un vantaggio in conto capitale. Nel contesto della competizione globale per la conquista di posizioni di eccellenza nell’economia della conoscenza il sostegno pubblico è decisivo. In Europa, la ricerca, il welfare, l’industria strategica e il finanziamento dell’innovazione sono fortemente alimentati dal settore pubblico. Gli stati fanno quello che sanno fare. Ma la Commissione fa moltissimo. Per il prossimo programma quadro sono previsti 100 miliardi di investimenti. Se l’esperimento del venture capital europeo funzionerà, dal 2021 i fondi potrebbero crescere oltre la misura limitatissima di oggi. Questa misura resterà sempre limitata a ciò che il mercato non fa, come spiegano i documenti che descrivono il pilota. Ma serve alla Commissione per sostenere le iniziative imprenditoriali che hanno la possibilità di crescere in fretta: proprio quello che gli Stati Uniti fanno bene e l’Europa non è ancora riuscita a fare. Non mancano le perplessità sul principio che la Commissione finanzi direttamente le startup invece di limitarsi a svolgere la funzione di “fondo dei fondi”, per abbassare la rischiosità degli investimenti in innovazione radicale operato da privati. La competenza delle persone che saranno incaricate di valutare gli investimenti ma che necessariamente non potranno essere anche impegnate nel venture capital privato – per evitare ovvi conflitti di interessi – è tutta da verificare. Sta di fatto che l’Europa ha innovato nel finanziamento alla ricerca con lo European Research Council e con il programma Future and emerging technologies – che in vista del nuovo programma quadro viene modificato ma non troppo – e vuole dotarsi di strumenti più flessibili anche verso le aziende. L’entrata nel capitale delle imprese private era un tabù fino a poco tempo fa. Ma la rigidità dei processi non aiuta nei progetti innovativi. Compresi quelli che riguardano la policy. L’essenziale è che lo stato faccia quello che non sanno fare i privati e impari a farlo bene. Non è scontato.
Articolo pubblicato su Nòva il 17 febbraio 2019