Le città. Il luogo della connessione creativa e dell’inquinamento, della produzione e dello spreco, della socialità e della violenza. L’80% del prodotto interno lordo mondiale è generato in città. E le decisioni più importanti che le città prenderanno nei prossimi tempi possono influenzare in modo decisivo il destino di un’umanità prossima a scegliere tra la sostenibilità e l’involuzione. «Le città sono la chiave della necessaria trasformazione. Ma la velocità e la scala dell’urbanizzazione richiedono una riprogettazione delle città» osserva Alexander Carius, direttore del think tank tedesco Adelphi. «Per modificare la traiettoria di sviluppo delle città occorre una visione molto più forte di quella che prevale oggi» dice Carius che conduce ricerche su come il futuro della città è visto dai giovani, cioè gli umani che più di tutti riescono a sentire il futuro come parte della loro vita: «Per i nostri giovani, nella città del futuro c’è aria fresca e, come dice una intervistata c’è “odore di pompelmo”; la città del futuro è fatta di materiali naturali, è organizzata in modo aperto e tollerante, consente una vita armonica». I desideri sono chiari. Il percorso è meno evidente. Alexandra Toland, che insegna e fa ricerca alla Bauhaus University di Weimar, suggerisce di guardare agli artisti, veri e propri hacker del sistema culturale convenzionale. Mentre Norbert Palz, della Berlin University for the Arts, suggerisce di pensare all’evoluzione della città come a quella di un organismo vivente che ha bisogno soprattutto di un intervento “educativo”. Lorenzo Tripodi, fondatore di Tesserae Urban Social Research a Berlino, immagina che comunque occorrerà fare i conti con città diventate media, nelle quali i muri sono schermi e la tecnologia ha una funzione ubiqua, tale da modificare – non necessariamente in meglio – le dinamiche sociali. Questa discussione era parte della giornata dedicata alle frontiere più ambiziose e necessarie del design, organizzata all’ambasciata italiana a Berlino, ed era sinceramente orientata a cercare una visione forte. La risposta è arrivata dalle idee ben poco convenzionali di Stefano Mancuso, direttore del Laboratorio internazionale di neurobiologia delle piante, a Firenze. Lo scienziato ha condotto le sue originali ricerche, tra l’altro, sulle capacità cognitive delle piante, dimostrando a più riprese come esse prendano decisioni in modo sorprendentemente intelligente. «L’85% della biomassa che esiste sul pianeta è composta dalle piante. La loro storia evolutiva è di alcuni ordini di grandezza più antica di quella degli umani. La loro capacità di decidere intorno alla priorità fondamentale della vita, cioè la sopravvivenza, è probabilmente molto superiore a quella degli umani: almeno per quanto si è visto finora». Ne consegue che nella progettazione delle città del futuro gli umani farebbero bene a imparare dalle piante, visto che la sopravvivenza della specie non è poi così scontata nel secolo del cambiamento climatico. Le sue idee ispirano il design come dimostra il successo dell’esposizione co-curata da Mancuso alla Triennale di Milano. «Coprire le città di vegetazione. Completamente. Per assorbire l’inquinamento. E spingere la società a scegliere modelli di sviluppo orientati alla qualità della vita».
Articolo pubblicato su Nòva il 24 marzo 2019