Paolo Messa sulla cyberguerra

Il referendum costituzionale in Italia nel 2016 e le elezioni politiche del 2018. Il referendum sull’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea del 2016 e le elezioni presidenziali americane del 2018. Momenti decisivi nella storia recente delle piccole e grandi democrazie occidentali. I loro esiti sono stati connessi a forme di propaganda durissima, spesso condita di vera e propria disinformazione e, in alcuni casi, sconfinata in forme di uso violento e illegale della rete per raccogliere e diffondere dossier devastanti contro alcune personalità della politica. I social network sono stati utilizzati per raccogliere dati su milioni di cittadini occidentali in modo da intervenire sulle loro attività online e manipolarne le percezioni.
La competenza e la spregiudicatezza di quelle azioni è diventata caso di studio. Paolo Messa, direttore del Centro Studi Americani e autore de “L’era dello sharp power”, ricorda che secondo molti osservatori, quelle operazioni erano parte di una di cyber guerra.
Russia, Usa, Cina, Iran, Corea del Nord sono le nazioni più impegnate nella geopolitica del cyberspazio e nell’uso militare della rete internet. Ma nessun paese è esente.
Non stupisce. Nell’epoca della conoscenza internet è centrale per ogni manovra orientata alla conquista del potere globale: la rete digitale è, contemporaneamente, la risorsa strategica da controllare, l’arma da usare e il teatro di guerra da conquistare. Il virtuale è reale. Il soft power, che serviva a rendere simpatico e attraente un centro di potere globale, si è trasformato in qualcosa di più tagliente: lo sharp power pensato, per esempio, da Steve Bannon, già consigliere del presidente americano Donald Trump non solo per alimentare la popolarità della propria parte politica, ma anche e soprattutto per distruggere la credibilità della parte politica avversaria. Lo sharp power serve a usare ogni mezzo disponibile per delegittimare il sistema politico avversario, esacerbandone le contraddizioni interne.
Le tecniche sono estremamente codificate. Si possono diffondere virus come nel caso dell’attacco americano e israeliano contro le centrali nucleari iraniane. Si possono diffondere false informazioni come è successo per molto tempo in Gran Breatagna per delegittimare l’Unione Europea. Si possono fare uscire dossier di dubbia veridicità su piattaforme online anonimizzate per minare la credibilità dei canditati avversari, come è successo a Hillary Clinton. Soprattutto si deve battere a martello su temi che alimentano la paura e la discordia nel campo avversario, per indebolirlo.
Messa ricostruisce le forme specifiche delle strategie di attacco cinesi, russe, iraniane, coreane. E mostra come tentano di difendersi le democrazie occidentali, anche attraverso la Nato. La sua interpretazione è chiaramente orientata dalla sua convinzione secondo la quale queste nazioni devono essere alleate. E suggerisce che solo la profonda collaborazione tra queste democrazie può salvarle dalla spudorata azione avversaria.
Indubbiamente, Messa non calca la mano sulle responsabilità occidentali nella creazione delle piattaforme utilizzate per queste operazioni e sulle responsabliltà americane nell’indebolimento delle economie degli alleati europei all’indomani della crisi del 2008. Un libro come “Zucked” di Roger McNamee, appena pubblicato da Penguin, mostra come la leadership di Facebook abbia sottovalutato la possibilità che la piattaforma potesse essere utilizzata da potenze straniere per manipolare la democrazia americana. E una quantità di studi mostra come l’indebolimento di alcune economie europee dopo il 2008 non abbia certo aiutato la tenuta del fronte occidentale contro l’avanzata cinese.
Ma Messa è totalmente obiettivo nel segnalare come la rete sia utilizzata da tutti, occidentali, orientali, asiatici, per condurre azioni di vera e propria guerra. Certo, queste hanno maggiori probabilità di successo se si saldano alla costituzione nei paesi avversari di centri di potere e di influenza concreti e coerenti. Partiti politici, think tank, snodi per intense collaborazioni commerciali e finanziarie.
L’Italia è, come spesso accade, un crocevia importante di manovre internazionali, soprattutto per la sua importanza economica e per la sua debolezza politica. Il capitolo che, per esempio, Messa dedica alle operazioni russe in Italia è impressionante. Certo, la storia delle aperture italiane verso l’Urss e la Russia è antica e complessa e va dalle intense e controverse relazioni del Partito comunista italiano con l’Unione sovietica, passa per l’amicizia che lega l’ex presidente italiano Silvio Berlusconi all’ex agente del Kgb Vladimir Putin e arriva all’ammirazione dei vertici della Lega e del M5S per il potente presidente russo. Ma Messa mostra anche la presenza russa sul suolo italiano con diverse organizzazioni specializzate nella propaganda e nel reclutamento di potenziali alleati. Una certa distrazione strategica europea e americana, unita alle pecche della governance economica italiana, ha consentito anche l’avanzata in Italia della Cina, attraverso un uso prudente del soft power e un fortissimo ricorso alle capacità di investimento delle finanze cinesi nelle aziende italiane. Messa ha chiuso il libro prima della firma italiana al memorandum of understanding relativo alla “via della seta” ma ne prevedeva la possibilità. Ricordando anche come la percezione della Cina in Italia sia stata caratterizzata da una riduzione delle opinioni sfavorevoli verso quel paese dal 70 al 59% tra il 2014 e il 2017. La propaganda funziona. Soprattutto se si unisce alla speranza di qualche vantaggio economico.
Paolo Messa
L’era dello sharp power. la guerra (cyber) al potere
Egea Università Bocconi Editore, Milano 2018, pagg. 180
Articolo pubblicato sul Sole 24 Ore il 7 aprile 2019