L'esplorazione degli storiversi

Campagna presidenziale americana del 2016. Intervista a Newt Gingrich, repubblicano, di Alisyn Camerota, Cnn. Dati Fbi alla mano, la giornalista osserva che la criminalità in America è in diminuzione. Il politico ribatte che gli americani non la pensano così. La giornalista insiste. Gingrich dice per gli americani la lotta alla criminalità è una priorità. La giornalista nota che i fatti dicono il contrario. Gingrich afferma: «Anche quello che pensano gli americani è un fatto». E conclude: «Io come politico sto dalla parte di ciò che sente il popolo. Lei può stare dalla parte dei teorici».
I fatti citati dalla giornalista sono statistiche, registrate da enti esterni al sistema mediatico, e devono essere comunicate, comprese, accettate: devono prendere il posto dei pregiudizi, delle ideologie, delle pseudonotizie che circolano per passaparola. Ciò che sente il popolo è un fatto costruito all’interno del sistema mediatico. La storia cui si riferisce Gingrich è autoreferenziale. Vive in un universo creato sui media: uno storiverso, direbbe Andrea Fontana, autore di “Regimi di verità” (Codice 2019). «Oggi non solo viviamo in bolle cognitive, ma abitiamo in veri e propri storiversi. Uno storiverso è l’insieme dei contenuti – episodici o meno, inventati o reali – che costruiamo su di noi o sugli altri, in forma narrativa e in modo continuativo, che poi condividiamo nelle diverse piattaforme mediatiche che usiamo», scrive Fontana. In una società dove si pensa prevalentemente all’interno di storiversi è più facile la diffusione di ogni genere di credenza fantastica o finzionale il che «apre la porta a ogni tipo di contro-realtà e di fatti alternativi». La frantumazione dell’opinione pubblica in tribù aggregate attorno a convinzioni diverse è conseguenza di questa condizione, cui le piattaforme mediatiche attuali non fanno argine ma che anzi favoriscono. Le conseguenze filosofiche sono state indagate nel corso di una giornata di studi organizzata la scorsa settimana da Mauro Carbone, docente all’università Jean Moulin, Lyon 3. L’estetica, nel senso di filosofia della percezione, insegna a riconoscere le dinamiche attraverso le quali l’interfaccia si fa invisibile e le nuove piattaforme sostituiscono le forme dell’intermediazione tradizionale conquistando un potere immenso. Chi si esprime in questo contesto non trova freni alla raccolta di consenso intorno a posizioni pregiudiziali. Se è in grado di gestire bene dal punto di vista tecnico il sistema può acquisire una forte capacità di aggregazione. Giuliano da Empoli nel suo ultimo libro, “Gli ingegneri del caos” (Marsilio 2019) racconta l’emergere di nuove figure politiche nei contesti mediatici oggi prevalenti. Per attraversare con maggiore consapevolezza questi fenomeni c’è bisogno di educazione e riflessione. La retorica può essere una disciplina liberatoria. Andrea Granelli e Flavia Trupia hanno pubblicato “La retorica è viva e gode di ottima salute” (FrancoAngeli 2019): lo studio della retorica favorisce la diffusione della conoscenza sulla costruzione del discorso, sulle tecniche per la raccolta di consento, sulle modalità con le quali si conquista l’attenzione. In questo senso, la retorica è una sorta di “vaccino” contro i malesseri diffusi nel contesto mediatico attuale. I “no vax” non l’hanno ancora presa di mira.
Articolo pubblicato su Nòva il 12 maggio 2019