Imprese italiane che spingono, nonostante

La vitalità delle aziende italiane non cessa di stupire. In questo periodo di emergenza, il governo ha lanciato alcune chiamate rivolte anche a imprese innovative che siano in grado di offrire soluzioni per le principali questioni aperte: la mancanza di “tamponi” per l’analisi a tappeto della popolazione italiana e di mascherine per il contenimento della diffusione del virus, soluzioni per la telemedicina e per il monitoraggio dei movimenti delle persone. Solo per queste ultime sono arrivate più di 830 proposte. Segno di una forte capacità di risposta innovativa: basta cercarla ed emerge. Del resto, la ripartenza del Progetto Marzotto, nonostante tutte le avversità e con modalità che ne attestano la capacità creativa, dimostra che la ricerca di piccole aziende e progetti innovativi non cessa e anzi è sempre più necessaria al sistema economico e produttivo italiano. E il percorso di rinnovamento dell’ecosistema dell’innovazione italiano è stato peraltro registrato dal Financial Times che nella sua recente classifica delle mille aziende cresciute di più in Europa negli ultimi tre anni ha mostrato come le italiane fossero quasi un quinto del totale, poco sotto il numero registrato dalle tedesche, ma ben al di sopra di tutti gli altri paesi, con una quota di aziende tecnologicamente avanzate molto rilevante. Ma i prezzi delle startup italiane sono restati relativamente bassi tanto che il capitale che attiravano è cresciuto negli ultimi tre anni in maniera sostanziale, arrivando a superare i 700 milioni nel 2019: niente di paragonabile al capitale attirato dai sistemi di startup francese e tedesco, ma pur sempre molto per un paese in cronica scarsità di finanziamenti per l’innovazione. Nel frattempo, la reattività del sistema produttivo italiano si è dimostrata notevole. La velocità di adattamento alle costrizioni necessarie alla strategia di contenimento dell’epidemia, a giudicare dal fatto che, come riporta il sociologo del lavoro Domenico De Masi, il numero di persone in “telelavoro” o “smart working” è passato nel giro di qualche giorno da 500 mila a 8 milioni. In effetti, il sistema produttivo italiano, come ha sottolineato il Financial Times, ha dimostrato una resilienza straordinaria, nonostante una quantità di problemi strutturali, che spesso il sistema politico non ha aiutato a risolvere. 
L’incertezza congiunturale continua a dominare gli animi degli osservatori del sistema economico italiano, e non solo. L’epidemia continua a richiedere restrizioni e l’economia non può riprendere il suo ritmo. Ma si affacciano anche le domande strutturali. Che cosa resterà di questa esperienza? Che quadro di presenterà agli italiani che a suo tempo usciranno di casa? Non ci sono ovviamente previsioni in materia. Certo, i rischi di chiusura di imprese sane che hanno problemi di cassa non mancano, purtroppo: l’intervento pubblico si annuncia come la soluzione più probabile per questo passaggio. Ma sarà un intervento limitato a risolvere il problema congiunturale o avrà la capacità di favorire la costruzione di un contesto strutturale nuovo? 
È evidente che lo spirito ottimista può condurre a sperare in una risposta positiva e lo scetticismo, peraltro motivato, potrebbe suggerire l’opposto. Ma le probabilità di una uscita costruttiva dal problema nel quale gli italiani sono piombati sono maggiori di zero. E per la gravità del momento, vale davvero la pena di dedicare forte attenzione a descrivere il percorso che conduca fuori dalla crisi più forti di come ci si è entrati.
Articolo pubblicato su Nòva il 29 marzo 2020
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