Jean-Pierre Bourguignon torna al vertice dello European Research Council, al posto di Mauro Ferrari. Già presidente tra il 2014 e il 2019, Bourguignon ha un chiaro mandato: battersi per gli investimenti europei destinati alla ricerca scientifica. Non0stante le dimensioni del budget complessivo dei prossimi sette anni (1.074 miliardi) e l’aggiunta clamorosa di un fondo per la ripresa (750 miliardi), i compromessi tra gli stati hanno ingrigito un budget che si sperava che potesse avere una più forte connotazione innovativa.
Nei prossimi tempi il Parlamento tenterà di aumentare le risorse destinate alla ricerca, all’innovazione, al digitale, all’ecologia, all’inclusione. Intanto, la Commissione dovrà chiarire i criteri per l’utilizzo dei fondi. In effetti, se l’allocazione settoriale delle spese europee può lasciare insoddisfatti coloro che pensavano che la ricerca e l’innovazione meritassero più di 80,9 miliardi di euro e che la sanità dovesse avere più di 1,7 miliardi, la politica digitale e verde è più difficile da valutare. La policy per l’ecologia e il contenimento del cambiamento climatico in effetti ha una sua dotazione di risorse settoriale ma appare anche in tutti i programmi, compresa l’agricoltura e le infrastrutture. E il digitale ottiene 6,8 miliardi per Digital Europe ma sicuramente passa pure per altri programmi, Horizon compreso. Non si riesce a valutare l’Europa cercando di seguire il rapporto tra le richieste dei molti soggetti in gioco – le istituzioni europee, i 27 stati, i partiti, le lobby, le corporazioni e le organizzazioni non profit – e ciò che vantano o lamentano di avere ottenuto: un labirinto di interessi, dichiarazioni, annunci, compromessi, rende meno chiara del desiderabile la policy europea. In queste condizioni, anche in un anno eccezionale per il potere della politica, le innovazioni vere emergeranno essenzialmente grazie alla capacità della società e delle imprese di interpretare i mezzi messi a loro disposizione dal settore pubblico e di definire visioni strategiche adatte al bene comune. La storia chiede all’Europa di tracciare una strada fatta di innovazione e di valori civili: nella convinzione che questi valori – ecologia, inclusione, qualità della vita – si possano perseguire soltanto innovando. E che al di sopra di ogni ragionamento particolare sussista una comune volontà di difendere e allargare la portata dei diritti umani sui quali l’Europa si fonda.
Nel digitale, l’Italia è da sempre in basso nelle classifiche dell’adozione ma in alto nelle attività di affermazione dei diritti: soprattutto grazie al lavoro visionario di persone come Stefano Rodotà. Le recenti dichiarazioni di Romano Prodi e del presidente del Parlamento europeo David Sassoli sul potere e i diritti nel digitale hanno rilanciato il dibattito. L’intervento della ministra per l’innovazione Paola Pisano ha mostrato l’attenzione del governo italiano sui temi della cittadinanza digitale e il suo sostegno per una strategia di lungo termine e multistakeholder. È giusto e strategico. Solo coltivando una dimensione superiore a quella degli interessi particolari – dei singoli partiti, dei singoli stati e delle singole lobby – l’Europa può decidere qualcosa di sensato. Il budget è un insieme di numeri. Che ora vanno interpretati.
Articolo pubblicato su Nòva il 26 luglio 2020