Jimmy Wales diceva in questo blog che le comunità non scalano e dunque non è questa la via per rendere più forti in relazione all’azione del capitalismo e della politica: ma, aggiungeva Wales, che si possono progettare strumenti digitali che aumentano grandemente l’impatto delle comunità (Utopia realizzabile. Un social network a dimensione umana).
In questo contesto, la comunità non è più sostenuta soltanto da un insieme di regole che governano le persone nella gestione di un loro bene comune. Regole spesso tradizionali, poco orientate alla crescita e molto al mantenimento, alla difesa del bene comune dall’usura del tempo e dall’ingordigia dei singoli. La comunità è oggi sostenuta da piattaforme digitali che la rendono, se ben progettate, capace di manutenersi e crescere.
Nelle comunità le persone arrivano a conoscersi e a valutare la fiducia reciproca che riescono a sviluppare lavorando insieme per uno scopo comune. A quel punto, non sono più soltanto beni materiali, quelli che la comunità condivide, ma diventano servizi comuni che a loro volta sono co-progettati e co-prodotti in un intreccio di relazioni tra i promotori delle iniziative, i leader, e tutti coloro che sono interessati.
Ne parla con grande profondità Marta Mainieri nel suo “Community Economy. Persone che trasformano mercati e organizzazioni” (Egea 2020). Che in fondo suggerisce come qualsiasi azienda sensibile alle esigenze degli stakeholder, e non solo degli stockholder, sarà orientata a viversi come un’entità al servizio della comunità, e a co-progettarsi con la comunità. La membership diventa una naturale conseguenza di questo approccio. E la comunità si arricchisce. Arricchendo i partecipanti.
Sono passaggi di una grande ricerca intorno alla comunità che emerge come “Il terzo pilastro“, con lo stato e il mercato, per la sostenibilità della vicenda umana. Se ne parla anche su 24plus il 27 dicembre 2020.