No: i dati non sono il nuovo petrolio

Da un articolo uscito su Nòva il 6 giugno 2021 e su 24+ intitolato: “I dati non sono il petrolio, ma terreno di confronto per il potere economico” – Gli idrocarburi scarseggiano, le informazioni abbondano: a controllarle un numero troppo piccolo di compagnie globali. Soluzione? Non facile

I dati non sono il nuovo petrolio. Il paragone forse era venuto in mente osservando la classifica delle prime dieci aziende del mondo: intorno al 2000 erano quasi tutte tra i produttori e i consumatori di petrolio; nel 2021 sono quasi completamente tra i gestori e gli accumulatori di dati. Ma la metafora è fuorviante. I dati non sono come il petrolio.

Gli idrocarburi – che stanno attraversando la fase calante della loro storia, perché sono alla base dell’inquinamento che sta distruggendo l’abitabilità del pianeta – dovevano essere estratti e lavorati, per poi essere venduti. I dati – nell’interpretazione delle grandi piattaforme come Google, Amazon, Microsoft e Facebook, che ne concentrano quantità enormi – devono invece essere registrati e accumulati per poi eventualmente estrarne valore non tanto vendendoli, quanto elaborandoli per governare mercati diversi. Il petrolio è scarso. I dati abbondano. Il petrolio riguarda l’equilibrio ambientale. I dati riguardano le relazioni di potere tra le aziende, gli stati, le persone.

Anche Thomas Ramge e Viktor Mayer-Schönberger, nel loro nuovo libro, Fuori di dati! Rompere i monopoli sulle informazioni per rilanciare il progresso (Egea 2021, versione originale 2020), criticano la metafora petrolifera. Suggerendo che chi la usa non ha compreso la nuova epoca. Chi registra grandi quantità di dati offrendo servizi tecnologici di successo può dominare i mercati attraverso la conoscenza e l’ulteriore miglioramento dei servizi tecnologici stessi. Tentare di replicare la loro strategia è abbastanza difficile: chiunque sfidi i giganti nella fase in cui godono dell’effetto-rete – che alimenta il potere di chi ne ha già – rischia fortemente di essere battuto. Oppure, se ha successo, può aspirare a essere acquisito dai giganti stessi. Del resto, il potere dei dati si rivela anche un ottimo antidoto contro le crisi: la pandemia che ha distrutto interi settori economici non ha fatto che rafforzare ulteriormente i padroni digitali dell’informazione.

In effetti, la registrazione di dati è molto più importante del flusso di dati, come osserva il filosofo Maurizio Ferraris nel suo Documanità (Laterza 2021). La capitalizzazione delle informazioni è un fenomeno ben più vasto del semplice scambio di dati. Le sue conseguenze eccedenti sono superiori a quelle previste da chi ha progettato le macchine che l’hanno generata.

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Le norme europee non basteranno a rilanciare i «campioni europei» del digitale. E la Commissione del resto si occupa di questo anche con gli investimenti. Ma ormai è chiaro che con la produzione normativa l’Europa mantiene una funzione di livello globale, descritta da Anu Bradford, docente della Columbia Law School, in Effetto Bruxelles. Come l’Unione Europea regola il mondo (FrancoAngeli 2021, versione originale 2020): «Nonostante tutte le sfide che è chiamata ad affrontare, l’Ue rimane una superpotenza autorevole che modella il mondo a sua immagine». Su questo evidentemente si può costruire.