Domenica scorsa abbiamo pubblicato su Crossroads nella sezione 24+ un pezzo sul voto via internet. In seguito a quell’articolo è arrivato un contributo al dibattito dal portavoce del presidente della commissione Affari Costituzionali della Camera, Giuseppe Brescia.
Riporto l’articolo originario e più sotto e le risposte di Giuseppe Brescia.
Tra qualche tempo, se nel giorno delle elezioni un cittadino si troverà all’estero o lontano dal suo seggio elettorale, e se lo avrà preventivamente richiesto, potrà partecipare alla sperimentazione del voto elettronico via internet usando un’applicazione appositamente predisposta per il computer o il telefono dotati di uno dei browser più utilizzati. Il 9 luglio scorso il governo italiano in effetti ha approvato l’avvio della sperimentazione, con lo stanziamento di un milione di euro a favore di una grande azienda di consulenza informatica (che interpellata non ha risposto) per predisporre l’infrastruttura necessaria, seguendo le linee guida scritte da una task force sui cui lavori non sono disponibili verbali o documentazione consultabile. È l’avvio di una nuova fase della democrazia italiana, più veloce, meno costosa? O è un rischio tecno-politico da non prendere superficialmente? C’è una qualche tecnologia che possa garantire la segretezza del voto e impedisca il voto di scambio se le elezioni si svolgono via internet?
In Germania, Svizzera, Norvegia e Olanda, il voto via internet è stato escluso anni fa, perché è praticamente impossibile garantirne la sicurezza. Negli Stati Uniti, molti scienziati, tra i quali Vint Cerf, uno dei padri di internet, in rappresentanza di un impressionante numero accademie scientifiche, hanno raccolto le conclusioni di un grande insieme di ricerche che mostrano come le elezioni su internet non siano fattibili. E una ricerca del’MIT ha dimostrato che anche l’uso della blockchain non garantisce niente. La Francia ha avviato invece le sue sperimentazioni, con un dibattito molto trasparente, garantendo a tutti comunque la possibilità di votare in diversi modi. Certo, gli italiani che non hanno ancora una propria sperimentazione meritano di averla. Ma i rischi sono già chiari nel decreto approvato dal governo. “In caso di incidente in grado di compromettere l’integrità del sistema, il personale responsabile del funzionamento delle infrastrutture informatiche deve informare immediatamente l’amministrazione elettorale.” Qualunque cosa questo significhi. Ma si sa che “devono essere favoriti, in ogni caso, i controlli automatici, limitati gli interventi a distanza nonché minimizzati i rischi di intrusione, di errore umano e di sabotaggio, attraverso uno specifico protocollo di intervento”. Non si comprende se i voti degli elettori sperimentali in quel caso varrebbero di meno di quelli degli elettori normali.
Di certo, le linee guida prevedono che esista un’infrastruttura centrale del sistema elettorale e che questa sia gestita da personale autorizzato. Poche persone per tutto il paese opereranno nel giorno delle elezioni a governare il processo, mentre il sistema informatico sarà valutato prima delle elezioni da un’autorità indipendente e dai funzionari preposti alla sicurezza cybernetica nazionale. Se i responsabili del sistema vedessero anomalie o intrusioni sospette dovrebbero informare immediatamente “l’amministrazione elettorale”, responsabile della disponibilità, affidabilità, sicurezza e utilizzabilità del sistema di voto elettronico. E questa amministrazione dovrà comunque rimettersi ai tecnici per valutare la situazione. È dunque stato disegnato un nuovo centro di potere, non indipendente dal governo, capace di concentrare le operazioni di controllo delle elezioni. Il ministero dell’Interno e quello della Transizione digitale hanno operato questa scelta. Senza peraltro specificare con quali indicatori si definirà il successo o l’insuccesso della sperimentazione. E senza spiegare come contano di vedere applicato questo sistema quando al governo dovessero malauguratamente essere eletti partiti che non mettono al primo posto la qualità della democrazia.
Ma per l’Italia, dove il rischio di voto di scambio è proporzionale all’importanza della politica nella vita economica dei cittadini, si prospetta un altro scenario da incubo. Che cosa succederebbe se un boss volesse controllare il voto di una parte consistente della popolazione della sua città e facesse sapere in giro che se gli elettori si presenteranno in un certo posto, in una città diversa dalla loro, a una certa ora, avendo chiesto l’abilitazione a votare elettronicamente, offrirebbe loro una ricompensa qualora mostrassero a un suo incaricato il loro telefono nel momento in cui votano secondo le sue indicazioni? Sarebbe il voto di scambio 4.0. E non si vede come si potrebbe evitare.
Il decreto si trova qui: Adottato il decreto per la sperimentazione del voto elettronico per le politiche, europee ed i referendum. Il pdf è qui.
Ed ecco il contributo del portavoce di Giuseppe Brescia. Sono Michele De Vitis, portavoce del presidente della commissione Affari Costituzionali della Camera, Giuseppe Brescia. Ho letto con interesse il suo articolo su Nova 24. La norma da cui proviene il decreto attuativo sul voto elettronico da lei citato è stata inserita con un emendamento del presidente Brescia. La sperimentazione italiana è limitata e circoscritta a una platea di elettori storicamente ostacolata a una piena partecipazione elettorale (basti guardare tassi di affluenza e proteste a ogni elezione).
Successivamente nel 2014 il Parlamento ha adottato un emendamento al Codice Elettorale prevedendo l’entrata in funzione del voto elettronico a partire dal 2017. In occasione delle elezioni politiche del 2017 tuttavia, per problemi relativi alla finalizzazione della commessa pubblica per la fornitura delle macchine, non è stato possibile avviare il voto elettronico.
Già in occasione delle elezioni politiche dello scorso aprile 2021, per la prima volta, sono state capillarmente distribuite 9.390 macchine per il voto elettronico che hanno permesso di garantire la possibilità dell’esercizio del voto in tale modalità in oltre il 95% dei seggi elettorali istituiti. Infine, nelle recenti elezioni del 11 luglio 2021 le macchine per il voto elettronico sono state distribuite a tutti i seggi (in Bulgaria e all’estero) con oltre 300 elettori registrati. Nei seggi in Bulgaria con oltre 1.000 elettori registrati sono inoltre state attivate due macchine per snellire le operazioni di voto. Durante le ultime elezioni del 11 luglio scorso, su un totale di 10.516 macchine utilizzate, 52 di esse (0,49%) ha registrato malfunzionamenti tali da rendere necessario il ricorso esclusivo alla modalità di voto tradizionale.
In tutte le elezioni in cui in Bulgaria è stato previsto il voto elettronico, le gare per la fornitura delle macchine sono state vinte dalla società bulgara CIELA, responsabile della consegna delle macchine, della logistica del trasporto (anche per i seggi all’estero), dell’assistenza e della formazione del personale.