Schermi: interfacce della conoscenza

Articolo pubblicato su Nòva, il Sole 24 Ore, domenica 24 marzo 2024


Tutti i lettori di narrativa lo sanno. Immergendosi in un romanzo, i personaggi e i luoghi nei quali si svolge la storia prendono vita nell’immaginazione. Sembra di vederli tra le pagine e le parole: la creazione dell’autore incontra l’esperienza del lettore, che si proietta su una sorta di schermo interiore. Il libro è l’interfaccia tra il racconto di chi l’ha scritto e la memoria di chi lo legge. Ma che cosa accade a quella relazione tra immagini create e ricordate quando cambia l’interfaccia? Come si arricchisce, o si impoverisce, la dinamica culturale, quando ci si accorge che “il mezzo è il messaggio”? E che cosa accade se l’espressione dell’immaginario si confronta, per esempio, con lo schermo di un telefono? Una risposta a queste domande è un carotaggio nel profondo dei cambiamenti culturali. E in fondo è questo il problema centrale che gli umani devono affrontare accogliendo l’ennesima novità che modifica radicalmente l’interfaccia con la conoscenza accessibile su internet: l’intelligenza artificiale applicata ai modelli che producono simulazioni di qualsiasi linguaggio.

Dalle pareti delle grotte ai papiri, dalle pergamene alla volta delle chiese, dalla carta alla televisione, dal video del radar allo smartphone e molto oltre, la serie degli schermi si srotola sulla storia delle civiltà come un volume antico che non cessa di rinnovarsi. I filosofi Mauro Carbone e Graziano Lingua ne scrivono in “An Anthropology of screens” (Palgrave Macmillan 2023, di prossima pubblicazione in italiano per Luiss University Press). Gli umani hanno costruito la loro cultura coevolvendo in relazione a schermi che nel tempo hanno assunto diverse funzioni ma hanno mantenuto per millenni la loro rilevanza strategica. I risultati del cambiamento, come della continuità, possono essere sorprendenti. Perché gli schermi non sono oggetti passivi sui quali vedere informazioni, ma tecnologie che contribuiscono a costruire attivamente le relazioni tra gli umani connessi e comunicanti, con ruoli apparentemente contraddittori: mostrano e nascondono, proteggono ed espongono. In modi sempre diversi.

Già. Mentre il verbo “schermare” significa costruire una barriera che nasconde da uno spazio alieno e vagamente pericoloso, il sostantivo “schermo” è anche lo spazio sul quale si mostrano le immagini. È sempre un’interfaccia, peraltro, cioè un collegamento: serve per selezionare nel flusso delle comunicazioni quelle che sono promosse dalle molte che sono taciute. Ma, appunto, ci si domanda che cosa accada quando si passa da un tipo di schermo all’altro. Anzi ci si accapiglia sulla valutazione di quale sia migliore. Mentre il libro di carta sollecita un impegno che alimenta l’apporto del lettore all’atto creativo, l’immediatezza di una tecnologia come lo smartphone ha un effetto di facilitazione della comunicazione oppure è talmente subdola da diventare manipolatoria? Meglio evitare l’errore di vedere questa evoluzione socio-tecnica in una chiave univocamente di progresso o di regresso, risponde, a Nòva, Mauro Carbone. Piuttosto, il dibattito che ne segue aggiunge la riflessione teorica a una fioritura di indagini: sulla psicologia della memorizzazione, sulla sociologia della polarizzazione, persino sulla politica della radicalizzazione. «La promessa apparente degli schermi digitali è l’immediatezza, la trasparenza, la cancellazione di ogni mediazione tra popolo e potere» spiega Carbone: «Le conseguenze possono essere problematiche per una democrazia rappresentativa». Che oltretutto si confronta con l’emergere di nuovi poteri come quelli delle piattaforme giganti e dei loro algoritmi al servizio del cosiddetto capitalismo della sorveglianza. «A questo punto il vero obiettivo politico è la trasparenza degli algoritmi».

In effetti, la nozione di “postmedialità” che dà il titolo a un recente libro curato da Stefano Moriggi (Raffaello Cortina Editore 2024) dedicato alla discussione intorno allo spiazzamento dei media tradizionali, si rivela piuttosto una ipermedialità, che concentra, appunto, la mediazione in pochissime mani invisibili di proprietà dei giganti digitali che offrono preziosi servizi per gli utenti e in cambio esercitano enorme potere su di loro, catturandone i dati e influenzandone i cervelli. Conseguenze: talvolta difficoltà dell’attenzione, sempre nuove strategie della memorizzazione, spesso nuove patologie della dipendenza. Carbone e Lingua riflettono su come in tutto questo si annuncino cambiamenti epocali. Si assiste a una sorta di mutazione dell’idea di persona sempre più immersa nel contesto di questi potenti media digitali aumentati dall’intelligenza artificiale: una sorta di scissione dell’idea di individuo – indivisibile – in una pluralità di “dividui” le cui identità si moltiplicano in una relazione meno che consapevole con le diverse interfacce, divenute protesi: non c’è più solo un immaginario che si proietta sul libro, ma anche un telefono che invade la conoscenza. Ed è questo il tema interpretativo dell’intelligenza artificiale, diventata un’interfaccia generativa: non soltanto un problema di etica, ma anche di epistemologia.


Foto: “Cracked iPhone Screen – Health Risk?” by Patrick Hoesly is licensed under CC BY 2.0.