Le aspettative erano enormi, dopo mesi di illazioni. E il 27 gennaio 2010, Steve Jobs saliva sul palco per presentare il suo tablet. «Cambiamo il mondo ancora una volta» disse. «L’iPad è magico» vantò: magnifico per consultare il web, ottimo per la posta e i social network, ambizioso (forse troppo) come alternativa al Kindle per leggere i libri digitali e capace di far girare programmi simili a quelli che avevano reso l’iPhone, il telefonino della Apple, così diverso e attraente.
Ma nel pubblico, c’erano alcuni occhi persino più attenti degli altri: quelli degli editori di giornali, interessati a capire se davvero il tablet sarebbe stato l’occasione per avviare una nuova stagione nel loro business. Ascoltavano e cercavano di comprendere dove fosse il loro posto, tra giochi e libri, programmi per scrivere e musica. L’iPad era una porta d’accesso all’iTunes, il negozio di brani musicali e film, si candidava a vendere videogiochi, diventava anche la vetrina di una libreria. Ma non aveva un’edicola. Il suggerimento implicito di Jobs era chiaro: i giornali sono applicazioni. E si vendono come il resto del software, nell’App Store.
Insomma: in questo contesto, le cui regole sono dettate da chi lo ha disegnato, i giornali sono applicazioni nel senso che diventano software per organizzare l’informazione, in modo il più possibile piacevole, comodo, interattivo, focalizzato sulla fruizione. Il successo dell’iPad – nell’ultimo trimestre ne sono stati venduti 4,19 milioni, contro i 3,89 milioni di Mac, il prodotto tradizionale della Apple – ha trascinato nella corsa alla replica decine di altre aziende. Google, Rim e Microsoft hanno sistemi operativi alternativi e molte aziende lanciano nuovi tablet. Si direbbe che l’idea abbia attecchito.
Ora sta a chi fa ed edita i giornali cogliere l’opportunità. I modelli di business che si possono sviluppare sono assai diversi. Molti pensano che nell’ambiente per ora protetto dei tablet si riabiliti la soluzione tradizionale, basata su abbonamenti, pagamenti delle copie, pubblicità e sponsor. Il punto di partenza, comunque, resta quello di imparare a generare giornali che il pubblico giudichi di qualità.
La Vita Nòva che si trova da oggi sull’AppStore e che presentiamo nelle pagine interne è un tentativo: umile perché consapevole della grandezza del compito e della difficoltà di servire bene il pubblico. Di certo, esplora le possibilità offerte dal tablet e almeno dimostra che sono enormi. Dal punto di vista produttivo inaugura una collaborazione, stretta e strategica, tra la redazione degli autori, i designer e i programmatori. Forse può anche incoraggiare gli innovatori della creatività pubblicitaria. Il risultato è migliorabile. Ma sulla strada dell’innovazione non c’è la paura degli errori. Si può temere solo il momento in cui si smette di imparare.
(Grazie Camillo!)