La consegna è prevista per questa settimana. Nei laboratori dell’Estec di Noordwijk, vicino ad Amsterdam, dove l’Agenzia spaziale europea sviluppa le sue tecnologie, arriva la pelle artificiale che è stata ”stampata in 3D” con una tecnica a base di cellule staminali e che deve servire ai test per la “riparazione” degli astronauti che un giorno dovranno andare su Marte e correranno il rischio di aver bisogno di cure profonde, come appunto la sostituzione di certe parti del corpo, a causa dei raggi cosmici. Ne parla Tommaso Ghidini, responsabile della divisione Strutture, Meccanismi e Materiali dell’Esa: sta seguendo diversi progetti di utilizzo della produzione additiva, soprattutto per le riparazioni delle apparecchiature di bordo o per la produzione dei “mattoni” destinati a costruire case sui corpi celesti da colonizzare usando i materiali che vi si trovano come la regolite lunare o marziana. «Mandiamo i robot a edificare i rifugi nei quali poi entreranno gli astronauti» racconta Ghidini.
Questi progetti che un tempo potevano sconfinare nella fantascienza sono diventati reali per la convergenza di innovazioni tecnologiche che abbattono i costi e aumentano i ricavi attesi dalle missioni spaziali, spiega Piero Messidoro, professore al Politecnico di Torino. E il digitale, ovviamente, è al centro di tutto. Sia per la costruzione di infrastrutture satellitari al servizio della vita sulla Terra, sia per l’esplorazione dello spazio. Franco Ongaro, direttore del centro Estec e responsabile della tecnologia, dell’ingegneria e della qualità dell’Esa, spiega: «Lavoriamo alla frontiera della tecnologia e della scienza, come sempre. Ma, oggi, quello che facciamo ha un impatto economico gigantesco e crescente».
La velocità dell’innovazione per l’economia dello spazio è una delle forme della trasformazione digitale, ma poiché si applica alla scienza diventa a sua volta un acceleratore. La bellezza della tecnologia che si fa all’Esa, peraltro, è data dall’esaltante certezza di essere nel luogo dove certe cose si fanno per la prima volta al mondo. Come mandare una sonda verso Mercurio, la Bepi Colombo: impresa non banale, come ha dimostrato il test cui la sonda è stata sottoposta usando una macchina gigantesca che, qui a Noordwijk riesce a riprodurre le condizioni di immenso calore e freddo pazzesco che la sonda incontrerà avvicinandosi al Sole. Come ricorda Matteo Apolloni, che si occupa di questi esperimenti, il test ha mostrato che la copertura di titanio e altri materiali cucita a mano intorno alla sonda non reggeva all’escursione termica che avrebbe incontrato viaggiando verso Mercurio. I calcoli andavano rifatti. Anche quel caso ha dimostrato che ogni episodio di quella storia era un passo oltre il limite di quanto era mai stato fatto.
E, come dice Ongaro, la conoscenza generata in questo modo diventa ricchezza sulla Terra, con un ritmo di crescita impressionante. Secondo Morgan Stanley, la “space economy” che oggi vale 350 miliardi di dollari è destinata a triplicare entro il 2040. Una moltiplicazione dovuta, per esempio, al crescente valore dell’immensità di dati che si possono produrre osservando la Terra dall’alto. Il costo di lanciare satelliti sta scendendo e il valore delle informazioni che generano sta crescendo. Le applicazioni sono infinite. Bruno Berruti, project manager del progetto Copernic Sentinel-3, sottolinea le applicazioni per l’agricoltura: «Un’impresa olandese usa i nostri dati per informare le aziende agricole delle microvariazioni che si osservano dal satellite sui campi, sicché i contadini seduti nelle loro centrali di controllo, guidano l’irrigazione di precisione e lanciano droni per curare le eventuali malattie, intervenendo solo nei punti nei quali è necessario». Spiega Ongaro: «Siamo passati da uno spazio che era essenzialmente scientifico e strategico a uno spazio imprescindibile per l’infrastruttura della civiltà moderna. E l’Europa riesce a ottenere risultati straordinari, per esempio con Galileo, che vince per precisione contro il Gps, e con Copernicus, che è il più grande generatore di dati sulla Terra e il riscaldamento globale».
Certo, la competizione americana e cinese è sfidante. Il fatto che le spese belliche non siano considerate “aiuti di stato” dall’Organizzazione mondiale del commercio consente alle grandi potenze militari di investire tre o quattro volte di più di quanto non riesca a fare il Vecchio Continente, prevalentemente concentrato sugli obiettivi civili. L’Europa deve quindi vincere sul piano della relazione della scienza con l’industria. Roberto Battiston, ex presidente dell’Agenzia spaziale italiana e autore di “Fare spazio” (La nave di Teseo, 2019), da qualche giorno in libreria, paragona quello che sta accadendo alla tecnologia spaziale con quello che è avvenuto nei primi anni Novanta all’internet. È l’inizio di un boom. «L’Europa è avversa al rischio, ma nella nuova “space economy” ha il suo posto. E non deve rallentare. Il ritorno è enorme, nei servizi, nei dati, nelle architetture di navigazione, nell’osservazione della Terra. E nell’autonomia strategica dagli altri paesi». Questa è una storia per la quale ogni giorno si scrive una pagina nuova. E gli autori vengono premiati.
Articolo pubblicato su Nòva Tech il 25 aprile 2019