Luci e ombre dell'apertura: TED Global

TED Global non hanno voluto dare l'impressione di non accorgersi dei problemi connessi alla dinamica dell'openness che sta trasformando la cultura. Malte Spitz mostra il suo cellulare. «Questo strumento cambia la vita. Ma registra tutto di noi. Vogliamo strumenti che non si approprino di ciò che siamo. È stato detto in una grande manifestazione a Berlino: il cellulare è la Stasi 2.0. Abbiamo chiesto a Deutsche Telekom di darci tutte le informazioni che hanno su di noi. Le risposte sono state vaghe e dilazionatorie. Alla fine ha detto no. Alla fine abbiamo fatto un accordo: perché la corte costituzionale mi ha aiutato. Ho ricevuto un cd con la mia vita. Che cosa dovevo farne? Parlarne. Ed essere un attivista per l'autodeterminazione nell'epoca digitale».

Ivan Krastev attacca: «Voi della chiesa di TED siete un popolo molto ottimista. Noi bulgari siamo pessimisti. Il problema della democrazia in Europa ci preoccupa. Il numero di schede bianche sta aumentando. E questo perché la democrazia – che pure è il migliore sistema conosciuto – non riesce a rispondere alle domande dei cittadini. C'è un gap crescente tra quello che pensano i politici e quello che pensano le popolazioni. Perché? Le élites non hanno paura della gente. I sistemi politici sono andati fuori dal controllo delle persone. Le persone con i media digitali si sono chiuse in ecochambers e bolle di filtri che le tengono chiuse tutta la vita. Una volta le rivoluzioni erano definite dai loro contenuti e programmi. Oggi sono definite dai media che si usano per realizzarle: facebook revolution, twitter revolution. I contenuti non contano più. Quando parliamo di trasparenza e media dobbiamo pensare che i nuovi mezzi possono servire a tenere sotto controllo il potere, ma dobbiamo anche maturare i contenuti e i motivi per farlo».

Gabriella Coleman crede nell'alfabetizzazione digitale e scientifica. La sua domanda a TED: che cosa stanno facendo le pesone che lavorano per Anonymous? Chi sono? Non sono un'organizzione. Non hanno leader. Ma si aggregano sotto questo nome per organizzarsi nell'assistenza per varie forme di attivismo. Si divertono. Difendono i deboli. Combattono le loro battaglie ideali. Come quando hanno attaccato Scientology. Essenzialmente per divertirsi. Che senso politico ha Anonymous? Difendere internet, la libertà di espressione, mostrare il potere dei geeks. Da soli sono deboli. Ma insieme sono esplosivi. E non ci sono limiti al reclutamento. Tutti possono essere Anonymous. È aperto, dunque caotico, ma un ordine emerge. E le loro azioni fanno pensare. «A differenza dei criminali, Anonymous si dichiara a voce alta. Genera paura o ammirazione. Anche perché mentre sono visibili come nome sono invisibili come gruppo e individui. Cercano il rispetto. E chi non rispetta viene umiliato. Ma la domanda è: dureranno? Talvolta si dividono, litigano, cadono individualmente. Anonymous però probabilmente è destinato a restare. Perché hanno una missione: proteggere internet. Dicono questo: "se pensi di fare male a internet stai attento perché l'internet può fare male a te"». Segue Waleed Al-Saqaf, TED fellow e attivista per i diritti civili. Fa software per superare la censura e combatte l'autoritarismo. La rivoluzione araba è stata un momento di grande conforto per lui. «Ma non sono un attivista per professione. Sono un attivista accademico. Da come si sono messe le cose nel Nordafrica si può essere scoraggiati. Ma non bisogna mollare. Non siamo arrivati così lontano per lasciare perdere adesso». 

La sessione prosegue con Leslie Chang che ha scritto Factory Girls, sulla base della sua esperienza in Cina facendo ricerca su come vivono le persone che lavorano nelle fabbriche cinesi: condizioni molto dure, completo distacco dal progetto dell'azienda, lavoratori senza alcun interesse al prodotto della loro fabbrica, per loro conta solo il denaro che guadagnano. E con Neil Harbisson artista e attivista cyborg: convinto che gli umani e le macchine finiranno per convergere. Nel frattempo c'è stato l'intermezzo di Gerard Senehi che fa esperimenti mentali che una volta si sarebbero detti paranormali. In realtà, il suo business è intrattenere il pubblico nelle convention aziendali. Dice che la consapevolezza si espande e che molti pensano che si restringa. «Che cosa sappiamo davvero di noi stessi?» chiede Senehi. Guardando i trucchi del prestigiatore ci accorgiamo che non sappiamo tutto ma ci immaginiamo molto. Comincia a leggere nella mente delle persone. Il suo intento è indovinare che parola stanno pensando i suoi interlocutori. Sbaglia la prima. Azzecca, più o meno, la seconda, la parola di una signora francese. La terza è nella mente di un italiano: «No questa è troppo facile: pasta». Non c'è tempo per la verifica, il pubblico ride. Vabbè.