La riforma internettiana della p.a. è riforma strutturale

Nell’Europa analogica i Paesi con elevato debito pubblico sono anche in debito di ossigeno: chiedono più ampi margini di manovra per gli investimenti orientati alla crescita in cambio della promessa di riforme strutturali. Nell’Europa digitale, investimenti e riforme strutturali coincidono. Senza neppure passare dalle promesse.
Nell’Europa analogica, il contrasto tra le interpretazioni di crescita e rigore nei diversi Paesi appare difficile da risolvere. Nell’Europa digitale, gli obiettivi del taglio dei costi e dello sviluppo vanno d’accordo.
L’Italia è al centro del dibattito. La sua pubblica amministrazione ha bisogno di riforme come dell’aria e la via maestra per modernizzarla è nella tecnologia digitale. Ma il segreto per riuscirci è smettere di pensare in termini di spese in beni e servizi Ict e cominciare a ragionare in termini di investimenti per un’architettura radicalmente nuova e fondamentalmente internettiana per gestire le relazioni tra i cittadini e l’amministrazione, come scrive Francesco Caio, amministratore delegato delle Poste Italiane ed ex commissario all’agenda digitale, nel suo recente libro Lo Stato del digitale. Un’architettura centrata sulle esigenze dei cittadini, meno costosa e più efficiente, sulla scorta dell’esperienza di successo di molte soluzioni internettiane.
Cioè, per usare le parole di Matteo Renzi, presidente del Consiglio, in un suo tweet di ieri: «Obiettivo riforma P.A. è mandarti a casa il certificato. O sul telefonino. O al massimo evitarti la coda. Il resto è #fuffa».
E di #fuffa ce n’è spesso parecchia nei megaconvegni, per quanto impegnati. Ma chi osserva quello che è iniziato ieri a Venezia e che oggi ospita il discorso del presidente e della commissaria europea per l’agenda digitale, Neelie Kroes, sa che non ce la si può più permettere. L’urgenza di avviare il Paese verso la modernizzazione è consapevolezza comune. E internet offre un’occasione senza paragoni per riuscirci, presentando un piano di riforma che si può finanziare con gli stessi risparmi che è destinato a generare. Ma internet non è solo digitale: è appunto un’architettura.
Il Censis ricorda nel suo ultimo rapporto in materia che la spesa in Ict della pubblica amministrazione è scesa a 3,9 miliardi di euro nel 2012. Un totale in diminuzione dell’8% rispetto a cinque anni prima. Nell’ultimo anno, le spese destinate alla semplice gestione dell’esistente sono invece aumentate del 3% e sono arrivate a quasi il 60% del totale. La quota contabilizzata come investimenti diminuisce progressivamente e riguarda essenzialmente la manutenzione evolutiva di programmi applicativi già esistenti.
Insomma, l’Italia, che alla fine degli anni Novanta era all’avanguardia in Europa sull’agenda digitale e oggi è in ritardo, spende meno e in un quadro progettuale piuttosto povero. Una diminuzione ottenuta prevalentemente attraverso il taglio dei budget – a parità di impostazione architetturale – rischia di ridurre la qualità dei servizi. E del resto, come scrivono Alfonso Gambardella, Greta Nasi, Aura Bertoni e Andrea Fosfuri nel loro ebook Lo Stato digitale, l’organizzazione in silos separati delle varie piattaforme e applicazioni digitali dello Stato appare un freno all’innovazione e un inutile spreco di risorse. Lo scoreboard europeo per l’agenda digitale, in effetti, registra che l’Italia è agli ultimi posti in tutte le classifiche e in particolare è penultima in Europa per uso dei servizi online della pubblica amministrazione. Segno che quelli attuali non fanno la differenza in termini di qualità e semplicità d’utilizzo.
Un’architettura internettiana, secondo Gambardella e coautori, come del resto per Caio, consente di perseguire invece il risultato di modernizzare i servizi e ridurre le spese nello stesso tempo. Con un’innovazione radicale si può in effetti riconfigurare la spesa in investimento, puntando su un approccio centrato sull’obiettivo della semplicità d’uso per i cittadini, basato sui servizi cloud accessibili con un’intefaccia mobile o fissa abituale per chi usa il web e le app, con costi drasticamente inferiori e qualità superiore, senza duplicazioni. Lo Stato deve garantire standard e interoperabilità, sulla scorta dell’articolo 117 della Costituzione, mentre un sistema decentrato genera le applicazioni riutilizzabili in varie amministrazioni. E i dati raccolti dall’amministrazione sono apertamente a disposizione dei cittadini per accountability e innovazione imprenditoriale. Così, niente fuffa e molto risultato.
articolo pubblicato sul Sole 24 Ore l’8 luglio 2014