Architetto d'agenda

Il libro di Francesco Caio sull’agenda digitale italiana esce nel momento giusto. Mentre inizia il semestre europeo a guida italiana. E mentre il governo sceglie la guida dell’Agenzia che si occuperà della standardizzazione delle pratiche di sviluppo della tecnologia digitale nella pubblica amministrazione italiana.
Caio, amministratore delegato delle Poste Italiane, è stato commissario all’agenda digitale e coautore di un rapporto sull’infrastruttura di accesso a internet per il governo presieduto da Enrico Letta. Rapporti analoghi aveva già scritto in passato per il governo inglese e per quello italiano. Conosce benissimo i motivi per cui l’Italia è in fondo a quasi tutte le classifiche registrate nello scoreboard dell’agenda digitale europea. Un paese che era all’avanguardia negli anni Novanta per uso pubblico delle tecnologie digitali, grazie soprattutto alla necessità allora sentita di modernizzare il sistema di gestione fiscale, nel corso dei primi dieci anni del Duemila invece di progredire è andato indietro. Solo gli ultimi tre governi, dal 2012 in poi, hanno ripreso a occuparsi seriamente del tema. Ma proprio la sua conoscenza profonda dei difetti del sistema italico, enfatizza il pragmatico ottimismo del quale è pervaso il libro: “Lo Stato del digitale. Come l’Italia può recuperare la leadership in Europa” (Marsilio).
Il problema e l’opportunità hanno un nome: internet. L’amministrazione pubblica ha forse fatto un buon lavoro di digitalizzazione dell’esistente, ma non ha saputo interpretare internet per innovarsi in modo radicale. Ma Caio nota che la rete offre «un’occasione unica e irripetibile per costruire uno Stato più friendly, più trasparente, agile, che cosa molto meno». Una radicale innovazione è possibile. Il suo prezzo è inferiore a quello che si paga per mantenere in piedi un sistema obsoleto. E il suo ritorno va calcolato in termini di percentuali di crescita del Pil.
Si potrebbe addirittura sostenere che a livello di conti pubblici e vincoli europei, la modernizzazione digitale della pubblica amministrazione coincide con una delle riforme strutturali alle quali il sistema è chiamato per avviare la rigenerazione della produttività e competitività richiesta dalle sfide macroeconomiche contemporanee: dunque il necessario investimento che serve per realizzare questa riforma strutturale potrebbe essere più facilmente concesso. Che cosa ci manca per partire in questa direzione?
Manca una visione architettonica condivisa della ricostruzione digitale della pubblica amministrazione. Fondata su standard pubblici, dati aperti e interoperabilità, nella quale le applicazioni siano riusabili e il loro design sia centrato sulla comodità e facilità d’uso per il cittadino. È possibile. Dunque si deve fare.