Smart city e intelligenza collettiva: questione di interfaccia

Jack Dorsey, l’inventore di Twitter che il prossimo 1° luglio tornerà a guidare l’azienda, ha cominciato a 13 anni a smanettare con i computer. Era appassionato di mappe ed era riuscito a entrare nella rete delle comunicazioni via radio delle auto per il pronto intervento nella sua città, St. Louis. Ancora oggi, a 38 anni, la sua espressione si fa seria e appassionata quando racconta il fascino di quelle comunicazioni. Era un flusso continuo di messaggi con i quali il personale del pronto intervento diceva: dove sono, che cosa sto facendo, dove sto andando. Informazioni brevi che nell’insieme facevano funzionare un’organizzazione complessa. È evidente che da quell’esperienza è nata l’idea di Twitter, ma soprattutto si fatta strada la convinzione che un sistema per gestire messaggi semplici può essere molto rilevante per le persone: perché – nelle parole di Tom Malone, docente all’Mit – un sistema del genere costruisce le fondamenta tecniche di un’intelligenza collettiva, cioè di un insieme di persone e computer dal quale emergono comportamenti e decisioni che appaiono intelligenti. Una smart city si può anche pensare come una piattaforma dalla quale emerge un’intelligenza collettiva. A quali condizioni un’intelligenza collettiva funziona bene? In un insieme del genere, ovviamente, contano l’intelligenza delle persone e la qualità dei computer e dei programmi, ma contano anche l’interfaccia e il design delle interazioni. Devono essere semplici, tanto utili da entrare davvero nella vita quotidiana, fatti in modo da aggiungere tempo e non farlo perdere. Inoltre, come dimostra Malone, devono tener conto che il gruppo è più intelligente del più intelligente dei suoi componenti se i suoi membri sono culturalmente diversi, se le loro interazioni sono regolate in modo da favorire l’ascolto reciproco, se il sistema è inclusivo. Partendo da funzioni semplici, come la gestione degli spostamenti e di altre attività essenziali, raccogliendo i dati, si può arrivare a favorire l’emergere di comportamenti intelligenti. In vista di progettare con la stessa logica una città che non è solo smart ma diventa civica.
Articolo pubblicato il 24 giugno 2015 su Nòva