La disuguaglianza digitale

Articolo pubblicato sul Sole 24 Ore il 10 agosto 2022.


Il digitale. Una parola che assorbe un mondo di opportunità e preoccupazioni. Se ne parla tutti i giorni. Se ne parla da trent’anni. E paradossalmente da decenni non si cessa di associare internet alla locuzione “nuove tecnologie”, come se la novità non diventasse mai normalità. Segno che la digitalizzazione resta una sfida concettuale attraente e ancora non vinta per chi dibatte sul futuro della società. Ma vale la pena di ricordare, anche un po’ sorridendo, che per gli italiani la digitalizzazione resta un termine più burocratico che tecnologico: si cerchi su Google Trends la cronologia delle ricerche della parola “digitalizzazione”; si scoprirà che dal 2004 in poi c’è stata una certa crescita ma si noterà che l’interesse degli italiani per quella parola è stato davvero molto diffuso soltanto nei giorni intorno al 4 febbraio del 2018, quando si assegnavano i “voucher digitalizzazione” per le piccole e medie imprese.

Eppure chi dibatte intorno alle conseguenze della digitalizzazione ha ragione. Le opportunità promesse dal fenomeno sono importanti quanto il timore che le sue conseguenze siano meno che soddisfacenti. Ed è tempo di passare dallo storytelling all’interpretazione storica. Sicché hanno fatto molto bene, su queste colonne, Giorgio De Rita, Giusella Finocchiaro e Oreste Pollicino a suggerire che “Servono nuove mappe per orientare il Paese sulle rotte del digitale”. Gli autori ricordano la straordinaria crescita dell’uso delle tecnologie digitali nel periodo della pandemia. E osservano come la digitalizzazione mostri aspetti contraddittori: «Il modello di sviluppo digitale che abbiamo sotto gli occhi è motore di un miglioramento dei diritti fondamentali della persona» oppure «al contrario, le complessità intrinseche delle piattaforme digitali contribuiscono a una crescita dei divari sociali e delle diseguaglianze»?

L’adozione massiccia delle tecnologie digitali da parte dei consumatori, ormai maggioritariamente connessi e disponibili a usare l’internet mobile in ogni minuto libero della giornata, sembrerebbe dimostrare che il lato delle opportunità è importante per i cittadini. E la correlazione tra la digitalizzazione delle imprese e il loro successo economico, attestata dalle analisi della Commissione Europea, pare confermarlo. Ma intanto le diseguaglianze aumentano e i poveri si moltiplicano, come mostrano i dati dell’Istat e dell’Inps.

Si direbbe che siano molto più numerose le persone che cercano opportunità nel digitale di quante sono quelle che le sanno o le possono cogliere fino in fondo. Di certo, proprio la forza con la quale internet avvicina le persone mostra le differenze che le dividono. Ma occorre distinguere le differenze indotte da internet da quelle che dipendono dal contesto.

Quello che un tempo si chiamava “digital divide”, per esempio, non esiste senza internet. Certo, la distanza tra chi accede alla rete e chi non accede è stata più importante in passato che adesso grazie alla convenienza dello smartphone. Oggi resta fondamentale la distanza tra chi, pur accedendo, non sa usare appieno le funzionalità degli strumenti che ha a disposizione e chi invece smanetta veloce e sicuro. L’indice Desi compilato dalla Commissione europea vede gli italiani ancora nelle ultime posizioni nella classifica sulle competenze digitali di base. Erano ultimi qualche anno fa. Lo restano nel numero di persone con elevate competenze digitali.

Questa circostanza ha forti conseguenze sul destino economico degli italiani: chi ha la preparazione per usare appieno le tecnologie digitali ha più probabilità di lavorare in modo soddisfacente rispetto a chi non ce l’ha. Ne emerge una polarizzazione. Esiste tutta una matematica che serve a mostrare come, nelle reti, le risorse tendano a concentrarsi sui poli opposti di una distribuzione. Questo non significa che la diseguaglianza sia determinata dal digitale: l’Ocse non cessa di segnalare che il ceto medio perde peso nei sistemi economici occidentali, ma di certo non attribuisce alla rete la causa del fenomeno. Il fatto che parte della popolazione non abbia le competenze necessarie non è causato dal digitale. Casomai si può dire che una volta innescato un processo di polarizzazione, il digitale ne aumenta la velocità. 

Allo stesso modo si può parlare di altre forme di divisione sociale, spesso associate a internet. L’individualismo, la frammentazione della società in tribù valoriali, la perdita di peso dei corpi intermedi, sono tutti fenomeni che esistono nella storia recente dei paesi sviluppati. I social media sembrano alimentare la visibilità di questa frammentazione. Per alcuni osservatori stabilizzano la distanza tra diversi approcci culturali alla vita sicché le persone si trovano più spesso con i loro simili che con persone sorprendenti. Per altri, gli algoritmi di raccomandazione dei social network tendono a radicalizzare le diverse posizioni valoriali. Ma questo è molto diverso dal sostenere che quelle macchine determinano la divisione nella società.

Insomma, andando a fondo, ci si accorge che il senso del digitale non si coglie analizzando soltanto le sue caratteristiche tecniche e tralasciando lo studio del contesto nel quale si sviluppa. I computer aiutano ad andare più veloci: e se si guida la macchina contro un muro, aumentano il clamore dello schianto. 

Che cosa definisce la direzione dello sviluppo del digitale, dunque? Il modello di sviluppo che fa da contesto ha un’importanza decisiva. Un libro di Ben Tarnoff, “Internet for the people. The fight for our digital future” (Verso 2022) ripercorre la storia di come la rete delle reti sia nata pubblica e sia poi stata privatizzata negli anni Novanta dall’amministrazione di Bill Clinton e Al Gore. Una tecnologia usata per scopi militari e scientifici è diventata commerciale. Ed è stata affidata all’autoregolamentazione delle imprese. Nelle intenzioni dell’amministrazione doveva svilupparsi in una zona franca, senza freni normativi. E sono nati giganti globali che ormai si confrontano in potere e ricchezza con gli stati. La ricostruzione di un’internet attenta ai diritti umani è partita dalla Commissione Europea con un’articolata strategia che va dalla gestione dei dati al controllo delle applicazioni dell’intelligenza artificiale, con il passaggio dal paradigma dell’autoregolamentazione a quello della coregolamentazione con le piattaforme.

La velocità del cambiamento, nelle tecnologie digitali, si unisce alla loro specifica funzione di connettere molte realtà diverse, col risultato di aumentare la complessità dell’economia e della società. La si è spesso affrontata con le metafore: internet è come l’autostrada dell’informazione, oppure è come un supermercato globale, oppure è come l’acqua, un diritto fondamentale. Ma le metafore influenzano le decisioni: se per esempio un social network è soltanto un software allora non ha responsabilità per come è utilizzato; se una tecnologia è necessaria alla sopravvivenza, come l’acqua appunto, allora i diritti collettivi vanno garantiti con un servizio universale ben regolato.


Foto: “How Does Digital Technology Affect You?” by schopie1 is licensed under CC BY-SA 2.0.