Il contratto sociale e le responsabilità delle infrastrutture abilitanti

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Uno degli aspetti cruciali della trasformazione di questo decennio è, per così dire, l’assunzione di responsabilità delle infrastrutture. Il fragore dei messaggi accende l’attenzione molto più dell’ovvietà dei mezzi che li diffondono. Sicché, spesso, si rischia di sottovalutare il valore delle precondizioni. Eppure, nei confronti delle infrastrutture si sta verificando un cambio di aspettative.

Per decenni, gli osservatori hanno parlato di tecnologie “abilitanti” per definire il ruolo della rete internet e della stratificazione di piattaforme che le si sono sedimentate sopra, dal web ai social network, dagli app store alla blockchain di ethereum. In quella parola – “abilitanti” – c’era un’interpretazione velata di ideologia: le tecnologie non sono responsabili di ciò che gli umani vi sviluppano sopra, consentono agli umani di innovare. Idea ormai controversa, come dimostrano le discussioni sulla diffusione di notizie false, i discorsi di odio e l’ipertrofia del banale. Del resto, ora, esistono obiettivi generali di fronte ai quali va piegata la dinamica innovativa: il cambiamento climatico e l’inclusione sociale sono i grandi progetti ai quali l’innovazione, non più autoreferenziale, è oggi chiamata a rispondere. L’architettura delle piattaforme ha conseguenze, chi la disegna ha responsabilità. La normativa europea lo va definendo progressivamente.

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Ma seguendo questa strada si arriva a cercare l’infrastruttura delle infrastrutture, il modello di sviluppo o “il contratto sociale”, come sostiene Alec Ross nel suo nuovo libro “I furiosi anni Venti” (Feltrinelli 2021). Come definire un modello di convivenza che conduca a una soluzione nella quale tutti vincono? Ross non nasconde la sua preoccupazione per la piega che ha preso il dibattito pubblico ma non demorde perché vede quante opportunità ci sono per gli umani, se decideranno di porre rimedio ai guasti ereditati dal vecchio modello di sviluppo. Attraverso una quantità di storie talvolta commoventi e altre volte affascinanti, Ross critica l’infrastruttura ideologica che ha dimostrato di non funzionare. E ne cerca una nuova.